Dalla specializzazione in ginecologia in Italia alla lotta al cancro in Burundi: intervista al dottor Gabriel Nahayo
In Burundi molte donne non usufruiscono di adeguati servizi sanitari e non hanno accesso o non vogliono accedere a test per diagnosticare il tumore alla cervice uterina. Migliorare i servizi sanitari e ridurre la morbilità e la mortalità del tumore del collo dell'utero attraverso la sensibilizzazione della popolazione è lo scopo che Fondazione Museke, con il supporto del VIS, persegue anche grazie all’Associazione Buraca. Jean Paul, vice rappresentante Paese VIS in Burundi, ha intervistato Gabriel Nahayo, dottore e presidente dell'associazione Buraca.
Dottor Gabriel Nahayo, lei è il presidente e rappresentante legale dell'associazione Buraca, associazione che ha come obiettivi prioritari proprio la lotta contro i diversi tipi di cancro in Burundi. Dopo 18 anni di esperienza come medico a Bujumbura cosa può raccontarci?
Dopo la mia specializzazione in Ginecologia-Ostetricia in Italia nel 2004, sono voluto rientrare nel mio paese per poter dare il mio contributo al grande tema della salute. Il cancro cervicale è il secondo tumore più frequente nei Paesi dei grandi laghi e, per questo, insieme ad altre persone ho creato un'associazione che avesse come attività principali la prevenzione, lo screening e la diagnosi precoce contro il cancro al collo dell’utero. Purtroppo, per mancanza di mezzi, l’attività, fino all’intervento della Fondazione Museke attraverso il progetto promosso dal VIS, era ridotta alla mera sensibilizzazione.
Cosa è cambiato oggi?
Oggi le cose sono molto cambiate, grazie al progetto, infatti, si fanno formazioni al personale curante, sensibilizzazioni e campagne di screening con materiale e mezzi appropriati.
Per il progetto in esecuzione "Sensibilizzazione, prevenzione, diagnosi e primo trattamento del colonna dell'utero in Burundi", i beneficiari sono soddisfatti dei servizi loro offerti?
Direi di sì. Le beneficiarie ovviamente sono donne, giovani e meno giovani. Per il momento, infatti, il nostro target comprende un’età tra 25 e 50 anni; ci sarebbe piaciuto non escludere nessuno ma, purtroppo, abbiamo dovuto fare una scelta dettata dalle necessità pratiche. La partecipazione è stata massiva, con mia grande sorpresa si sono presentate molte donne con domande, paure e bisogno di essere ascoltate, quasi sgridandoci sul perché ci abbiamo messo tanto a chiamarle a pensare a loro. Ancora ad oggi la partecipazione allo screening è massiccia e supera di gran lunga la capacità degli operatori. Il nostro lavoro non è solo diagnostico o puramente medico ma anche emozionale: vogliamo gestire la paura e il bisogno di essere rassicurate delle donne che decidono di effettuare le visite mediche in un Paese in cui la parola cancro non viene mai pronunciata. La paura non appartiene a una razza o a un popolo, è una paura umana che riguarda tutti: poveri e ricchi. Nel nostro caso ciò che intimorisce le donne è il rischio di avere emorragie, lo scoprire la natura delle infezioni e, soprattutto, il venire a sapere i motivi derivanti dall’assenza di mestruazioni, poiché la mancanza di fertilità diventa una tragedia per le donne africane, che potrebbero essere ripudiate e considerate prive di qualsiasi valore.
Può raccontarci una storia di una donna che è guarita dopo aver ricevuto le cure?
Vanessa risultata positiva, aveva delle gravi lesioni precancerose ma dopo il trattamento è completamente guarita, nel ringraziare i medici che l’avevano curata sapeva benissimo che la sua sorte senza questa iniziativa non sarebbe stata la stessa, infatti, non avrebbe mai avuto i mezzi economici per farsi curare. Lei è una delle tante pazienti. Le molte telefonate che si ricevono per diversi motivi, per chiedere informazioni, i risultati di una biopsia o prendere un appuntamento per la visita sono chiari segni del sostegno popolare al progetto.
Può fornirci i risultati più significativi dal lancio del progetto?
5 strutture sanitarie hanno aperto servizi attrezzati per lo screening, 10 infermiere sono state formate sullo screening, 6 medici sono stati formati in colposcopia, biopsia e trattamenti chirurgici, 2 ospedali sono stati attrezzati per servizi di colposcopia, biopsie e interventi, 1725 donne sottoposte a screening, 277 colposcopie effettuate, 52 biopsie effettuate, 10 trattamenti chirurgici.
La vostra associazione è in grado di offrire il pacchetto di servizi di cui i vostri beneficiari hanno bisogno?
Sono molto soddisfatto di questo progetto ad oggi l’associazione Buraca ha le competenze per offrire tutte le cure e per garantire una buona sostenibilità del progetto. Resta pero importante sostenerci ancora, sostenere ancora le donne burundesi, perché il percorso da fare è ancora lungo.