Kumpo: lo spirito che danza, insegna e ammalia il Senegal
In questa nuova pagina del suo diario Chiara Bertoldo, stagista del Master Cooperation and Development dell'Università di Pavia, ci racconta di un episodio quasi magico: il suo incontro con il Kumpo per le strade di Tambacounda, Senegal.
"Venerdì 9 aprile, ore 23.00 circa. A casa è tempo di lavare i piatti e salutare gli amici venuti in missione da Dakar. La serata sta volgendo al termine quando, dalla strada, si sente un suono strano, irriproducibile a parole, quasi un flauto, un fischietto o forse nemmeno, e una moltitudine di voci che gridano, corrono e si rincorrono. La curiosità è troppo forte: Tamba non è mai stata così rumorosa e allora apriamo la porta e, davanti a noi, si apre un mondo parallelo.
I bambini corrono avanti e indietro, spaventati e felici per la strada; le donne si incamminano cantando verso il campo da calcio all’interno del centro dei salesiani di Don Bosco e gli uomini conducono con rami e tamburi il cammino di una strana figura: è il Kumpo, accompagnato dal fedele Samay, alcune delle maschere più famose dell’etnia Diola. D’abitudine è più facile vederle in Casamance (ma anche in Gambia e in Guinea Bissau) ma a noi è stata data la fortuna di incontrarle a Tambacounda proprio grazie ad un gruppo di giovani dalla Casamance che hanno appositamente organizzato un evento per tutta la giornata successiva, perché la festa comincia la notte del venerdì, ma riparte ancora più forte il sabato, al tramonto.
Il Kumpo, una delle tante maschere antiche di questa parte d’Africa, non è un uomo ma uno spirito. Simbolo conosciuto e riconosciuto in Senegal, anche da chi non appartiene a questa etnia, eppure la sua origine è difficile da decifrare. I Diola sono un popolo noto per la preferenza alla memoria orale, piuttosto che a quella scritta e così l’origine di questo termine, Kumpo, e la sua storia, si perdono nel passato. Il suo nome potrebbe derivare dalla parola Wolof “Kumpa”: “ciò che è secreto e suscita curiosità”. Oppure potrebbe indicare “ciò che è riservato agli iniziati e non può essere decifrato da un profano” o derivare dal nome Kommo, associato al potere Mandinga dal momento che questo spirito appartiene anche a questa etnia. Kumpo è una maschera, a capo di un gruppo di altre cinque, realizzata con le strisce di foglie di albero arrostito e con la testa sormontata da un lungo bastone. D’abitudine egli emerge da un bosco sacro, all’interno del quale questo spirito si veste, accompagnato dagli uomini iniziati.
Simbolo dell’etnia che rappresenta, il Kumpo si muove a ritmo di musica come tutti i Diola, famosi per le loro danze intense e fisiche, interminabili e piene di ritmo. Il Kumpo a sua volta balla, incitato dai djembe e dalle donne che, con oggetti in ferro (anche semplici pentole), dettano il ritmo a questo spirito che si muove con forza soprannaturale, innalzandosi, rotando su sé stesso usando il bastone come perno, mentre le foglie girano e descrivo cerchi, fluttuano nell’aria incantando i presenti. Una coreografia che rapisce, per la bellezza dei movimenti e la forza che sprigiona.
Il Kumpo però, come molte altre figure, porta con sé aspetti mistici e didattici: egli esce dal bosco sacro e lì ritornerà. Nessuno sa chi abiti tra quelle foglie, chiederlo è vietato, sbirciare ancora peggio. Il Kumpo ha compiti e valori da insegnare: per prima cosa egli richiama tutti in piazza, vecchi e giovani. Inoltre, egli è garante di ordine e giustizia, è lo spirito degli antenati e l’anima del clan, la sua presenza porta cibo, insegna il rispetto per gli anziani, il valore della ricchezza, la potenza della natura. Simbolo di condivisione e senso di comunità. Egli invita tutti a godersi la festa, fino a quando non ritornerà in quello stesso bosco sacro dal quale è uscito. Legato anche alle pratiche di iniziazione e, a volte, alle cerimonie matrimoniali, il Kumpo è uno spirito che ammalia e rapisce, soprattutto con i suoi movimenti.
E noi restiamo incantati dal ritmo che sprigiona, dalla gioia dei bambini, dalla musica dei tamburi, dai canti delle donne e degli uomini che si lasciano andare, seguendo la melodia di una serata magica, mistica e importante. Noi, qualche bianco capitato per caso, ci sentiamo forse un po’ fuori luogo osservando quella che potrebbe sembrare una semplice festa. Se non fosse che l’atmosfera appare troppo carica di “non detti”, che è impossibile sentirsi “solo” ad una festa. Quindi fuori luogo, ma soprattutto smaniosi di saperne di più, di comprendere fino in fondo quello a cui stiamo assistendo. Sarà deformazione professionale ma, da antropologa, un po’ ci provo, soprattutto il giorno dopo e, bene o male, qualcosa riesco a comprendere, ma poi la musica e la gioia del momento fermano tutto: ora non si parla, ora si balla. Il Kumpo ha lasciato il bosco ed è tempo per lui di insegnare e per noi di apprendere, a ritmo di musica, quello che a parole forse non può essere detto."