Chiara: in Senegal la lotta alla migrazione irregolare inizia sotto un albero
Chiara Bertoldo, stagista del Master Cooperation and Development dell'Università di Pavia, è da tre mesi in Senegal insieme allo staff VIS. Da qui può osservare il complesso fenomeno della migrazione dai luoghi di partenza. In questa riflessione ci racconta la sua esperienza nelle sessioni di sensibilizzazione sui rischi della migrazione irregolare nell'ambito del programma Stop Tratta:
"Negli ultimi anni ho avuto modo di vivere e raccontare la migrazione: l’ho studiata nelle aule universitarie, l’ho vissuta nei centri d’accoglienza italiani, l’ho raccontata nelle aule dei licei irlandesi, l’ho ascoltata negli uffici raccogliendo le storie di vita, l’ho condivisa davanti ad un caffè tra i ricordi e i racconti di altri mondi, l’ho scritta sotto forma di articoli di giornale.
Mai però, prima d’ora, avevo avuto la possibilità di incontrare la migrazione al suo punto di inizio, quando ancora è un progetto, un’idea, un sogno, un’ossessione. Mai avevo avuto modo di incontrarla al punto di partenza, laddove essa prende vita e si trasforma. Fino a quando il VIS non mi ha dato la possibilità di partecipare alle attività di sensibilizzazione sui rischi della migrazione irregolare organizzati all’interno dei progetti “Vivre e Réussir chez moi” e “Investir dans l’Avenir”.
A Kaolack come a Tambacounda mi sono seduta sotto un albero, al calar del sole, cercando il fresco e porgendo l’orecchio a nuovi protagonisti, ad altri attori di un fenomeno così complesso.
Le sessioni di sensibilizzazione sono ridotte di numero, causa Covid, ma questo non scoraggia gli operatori e nemmeno i partecipanti che, muniti di mascherine e protezioni, si siedono e ascoltano, dibattono e condividono. Si parla Wolof, la lingua più diffusa in Senegal, si affidano a suoni e parole a me ancora poco familiari i pensieri, le paure, la rabbia e i progetti che gli operatori ascoltano con attenzione. Sono in Senegal da tre mesi e ogni giorno che passa mi sento sempre meno straniera ma il Wolof ancora resta una lingua misteriosa ed affascinante. La scelta di non ricorrere al francese è presto spiegata: il Wolof (ma anche la linga Peul, a seconda delle zone) permette di raggiungere un target di beneficiari più ampio ma soprattutto rompe le barriere delle formalità e permette agli operatori VIS di entrare veramente in contatto con i partecipanti. Tuttavia, grazie a qualche parola intraducibile, anche io riesco a comprendere quello che viene detto: si parla di Italie, Espagne, Passport, fonds de développement… Si parla di diritti, di scelte, di opportunità, di sviluppo e irregolarità. Si raccontano anche esperienze, attraverso i migranti di ritorno presenti.
Sotto un grande albero che ripara dal sole, con un saluto mezzo italiano mezzo francese. Si discute e si riflette mentre gli operatori danno il loro meglio per condividere un messaggio chiaro: “La migrazione è un diritto e una scelta, sempre. Ma noi dobbiamo lottare affinché sia regolare. La piroga, il deserto non sono le risposte. Non “Barça ou barzakh” ma “Liberi di partire e liberi di restare” (come cita un altro progetto VIS in corso).
“Barcellona o morte” è il mantra dei senegalesi pronti a partire: un messaggio semplice eppure così difficile da cambiare. Tuttavia anche a questo servono le sessioni di sensibilizzazione che non fanno riflettere solo chi vi partecipa attivamente ma anche chi, in silenzio, porge l’orecchio ad un altro modo di raccontare la migrazione."