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Sconfini: si chiude una porta si apre l’Angola

Pubblichiamo il diario di Ilaria, volontaria SCU del VIS in Angola:

La nostra identità si forma attraverso le relazioni, specialmente nel confronto con la diversità. Per scoprirsi veramente, è necessario conoscere gli altri.  

Sono in costante evoluzione, ma alcune certezze mi accompagnano. Ho 26 anni, sono originaria di una cittadina vicino a Padova e la mia storia "inizia" a 22 anni dopo la laurea in sociologia quando ho deciso di trasferirmi a Londra, dove ho vissuto per un anno. Nonostante l'incessante frenesia della grande città, la sua multiculturalità mi ha conquistato immediatamente. È stato allora che ho capito, per la prima volta, che la mia sete di conoscenza delle differenze non si sarebbe placata da sola. In me stava nascendo un desiderio che appariva del tutto naturale. 

Da sempre aspiro a lavorare nel sociale e un po’ per caso e un po' per fortuna sono venuta a contatto con il mondo della cooperazione internazionale. L’occasione mi è arrivata nel momento in cui stavo ultimando la laurea magistrale in Sociologia e mi sono trovata davanti alla pubblicità del servizio civile. Dopo lunghe giornate trascorse davanti al computer, ho inizialmente optato per un progetto in Marocco, molto ambito da numerosi candidati. Nonostante non fossi stata selezionata, non mi sono scoraggiata. Un mattino, dopo aver scoperto che il VIS aveva ancora posti disponibili, ho immediatamente inviato una mail per proporre la mia candidatura spontanea. Tra i vari progetti offerti dal VIS ho scelto quello in Angola, dove da anni si dedica attivamente a migliorare le condizioni di vita dei bambini e delle bambine in situazioni di vulnerabilità. L'opportunità di apprendere il lavoro del cooperante e contribuire a offrire una prospettiva di vita ai bambini in situazione di strada ha suscitato in me una profonda emozione. In definitiva, l'Angola non era proprio nella mia ricerca iniziale, ma mi piace pensare romanticamente che sia stata lei a trovarmi. 

Ed eccomi qui a scrivere un pezzo della mia storia da una scrivania dall’altra parte del mondo se non del tutto geograficamente, almeno culturalmente. 

Una volta selezionata, palpitante di entusiasmo, riuscivo solo a parlare della mia partenza a chiunque mi trovassi davanti; la risposta al mio entusiasmo era puntualmente una domanda che si ripresentava come un mantra: “Dov’è l’Angola?”. La frequenza con cui mi veniva ripetuta mi ha fatto riflettere su quanto il continente africano fosse poco conosciuto in occidente e su come il mio viaggio potesse darmi la possibilità di contribuire, con le mie narrazioni in prima persona, ad una maggiore conoscenza della diversità interna all’Africa. Insomma, attraverso la mia esperienza ho la possibilità di mediare l’incontro tra Italiani e Angolani generando informazione e promuovendo un contatto al di là dei pregiudizi. Una responsabilità che abbraccio ben volentieri ogni giorno. 

Ma si sa, cominciare una nuova esperienza non è mai del tutto semplice. I cambiamenti, per quanto stimolanti, richiedono impegno ed è più facile sentire la mancanza di casa quando si è consapevoli di non poterla raggiungere in tempi brevi.  

Per questo concludo questo primo diario con le parole di mia madre: “Il linguaggio che usi è importante, se dopo una frase aggiungi un “ma” cancelli il significato di ciò che hai appena detto. Fino a quando mi dirai che senti la mancanza di casa, ma… Vorrà dire che sei nel posto giusto”.  

Ilaria