Il presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe si gode l'ottantacinquesimo compleanno tra fiumi di champagne e montagne di aragoste, mentre il 94 per cento della popolazione del Paese - una volta il granaio dell'Africa - è letteralmente alla fame e dipende dagli aiuti internazionali per la sopravvivenza alimentare. Intanto il colera dalla seconda metà di agosto ha ucciso quasi 4.000 persone, infettandone oltre 84.000. Le malattie, in generale, si diffondono per assoluta mancanza di medicine ed infrastrutture. Tutto è collassato, la disoccupazione ha superato il 93 per cento.
L'inflazione neanche si valuta più: l'ultimo dato ufficiale, relativo a giugno, la segnalava a 238 milioni per cento; ora gli osservatori parlano di almeno un miliardo annuo. I beni di prima necessità, ammesso che si trovino, raddoppiano di prezzo ogni 24 ore.
Il governo di Mugabe è stato oggetto di innumerevoli accuse di gravi violazioni dei diritti umani. A complicare la situazione si ha inoltre l'estrema diffusione dell'AIDS, che ha determinato una drammatica discesa dell'aspettativa di vita. Nel 2008 Mugabe ha ottenuto un'ennesima riconferma al vertice del Paese. Le elezioni sono state contrassegnate dai consueti tumulti e violenze generalizzate. Secondo dati UNICEF lo Zimbabwe ha avuto la più alta crescita della mortalità infantile nel mondo, avendo fatto registrare un aumento del 50% rispetto ai primi anni ‘90. Così la speranza di vita: era di 60 anni all'inizio del XXI secolo, col tempo è scesa a 39 e adesso è a 37 anni. Questo spaventoso calo è dovuto proprio alla diffusione dell'AIDS, che negli ultimi tempi si è fatta massiccia e questa malattia ha provocato più di un milione di orfani.
Per il suo compleanno si parla di una colletta raccolta dai sostenitori di Mugabe con il contributo richiesto da tutti per raggiungere l'obbiettivo di 250 milla dollari. Anche se più che di colletta, sarebbe corretto parlare di tassa.
Sicuramente una colletta così avrebbe fatto comodo ai milioni di persone costrette alla fame in Zimbabwe e non certo onore ad un presidente di un Paese che soffre la fame quotidianamente.