15 settembre 2015 - Caro amico,
Ci siamo per un po’ dimenticati. Cinque mesi di scontri nelle strade di Bujumbura: feriti, morti, torture, sparizioni. Bilancio temporaneo, spesso di vittime fortuite: 100 morti, 600 feriti, un migliaio di arresti.
Ora si cambia registro. Adesso si uccide o si rapisce in maniera premeditata, studiata a tavolino. Ma non sai più chi spara, contro chi e perché, perché non si trovano mai i responsabili. A sparire a volte è la gente comune, giovani dei quali si trova il corpo con le mani legate gettato in una stradina che porta al lago o dentro un canale dello scolo delle acque. Ti ricordi? Proprio come in Salvador ai tempi della giunta militare, di Monsignor Romero, quando si gettavano i cadaveri nelle discariche…
Una settimana marcata dal sangue.
Domenica 6 settembre a mezzanotte un Toyota pick-up senza targa attacca un’antenna di comunicazione di una società legata ad un oppositore al regime, a Kibenga. Tirano bombe a mano, scaricano i caricatori dei kalashnikov sull’antenna e sui guardiani. Nessuno sa se sono morti.
Lunedi 7 settembre, il portavoce di un partito dell’opposizione stava tornando a casa a Gihosha, una macchina lo seguiva. Stava varcando la porta di casa, due killer sono scesi e hanno fatto fuoco ripetutamente su di lui. Muore nell’auto. Patrice Gahungu era un militante ed un attivista per i diritti umani. Nel 2011 era stato torturato ed aveva denunciato lo stato burundese, portando il caso fino ad un tribunale internazionale. Aveva vinto la causa ed il Burundi era stato condannato a pagare i danni i provocati dalla tortura sul suo corpo. Ma ora Pautrice non c’è più.
Venerdì 11 settembre, 7 del mattino, mentre la gente sta andando a lavoro, il corteo del Capo di Stato Maggiore è attaccato da un commando. Una pioggia di proiettili e di razzi si è abbattuta sulla scorta e sulla sua auto. Uno scontro durato una decina di minuti. Sette morti, tra cui due passanti, due persone che non c’entravano nulla. Il Capo di Stato maggiore è riuscito a fuggire perché aveva l’auto blindata. Chi ha voluto ucciderlo? Quale sarà la risposta? Nel frattempo una parte della gente di Kinanira, il quartiere vicino al luogo dell’attacco, è stata svegliata, aggredita e la loro casa saccheggiata due volte, dalla polizia e dagli imbonerakure, le milizie della morte. Non si sa dove sono stati portati tutti quelli che sono stati arrestati. Dovevano giustificarsi. Ma di cosa? Quelli che passavano hanno avuto un momento di paura, poi l’istinto di sopravvivenza ha fatto il resto. Tutto è ripreso tranquillamente come prima, come se niente fosse. Solo i cabaret si sono riempiti nella serata per commentare quello che succedeva. La gente ha ormai metabolizzato gli scontri a fuoco.
Adesso tutti aspettano cosa accadrà. Cresce l’ansia della popolazione che teme di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Evitare le macchine della polizia o di militari senza targa, oppure auto targate ma che portano poliziotti armati fino ai denti che nascondono il loro volto dietro un passamontagna ed occhiali neri. Evitare motociclette che sembrano seguirti e che possono trasportare bombe a mano.
La comunità internazionale tace. Le Nazioni Unite tacciono. Le Organizzazioni Africane tacciono, così come è silente l’Unione Europea. Nessuno trova qualche cosa da dire. Si attendono forse i fiumi e i laghi riempirsi di cadaveri come in passato? O forse si aspettano i fiumi di profughi e sfollati, che però saranno troppo poveri per pagarsi un viaggio della speranza con i trafficanti ed arrivare sulle nostre coste facendo parlare di sé?
Senza una presa di posizione forte e senza la politica internazionale questo Paese sta andando alla deriva. Deriva economica, perché la cooperazione ha tagliato tutti i fondi e le attività economiche sono bloccate. Deriva politica perché si ha la sensazione del libero e discrezionale arbitrio, di una violenza quotidiana che sta crescendo e che ogni giorno sforna i suoi morti. Ma quali interessi sono tali da far esplodere un Paese che è tra i più poveri del mondo?