23 maggio 2014 - “Nonostante sia confermato che il giudizio finale sul caso di Meriam Ibrahim Ishag sarà affidato alla Corte Costituzionale, e che la pena di morte possa essere scongiurata, abbassare la guardia ora sarebbe un errore”.
E’ questo uno dei passaggi più significativi della lettera aperta inviata al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, da “Italians for Darfur”, organizzazione promotrice dell’appello per chiedere la liberazione di Meriam, i missionari salesiani di El Obeid, l’ex inviato Onu in Sudan, Mukesh Kapila, l’associazione Articolo 21 e i rifugiati sudanesi in Italia sulla vicenda della 27enne cristiana condannata allimpiccagione in Sudan.
Le firme raccolte finora, tra quelle sottoscritte online o inviate via mail all’ambasciata del Sudan, sono circa 25mila. “Crediamo che sia importante continuare a fare pressioni sulle autorità sudanesi – si legge nel testo inviato al Quirinale – magari con un suo intervento, presidente, presso il suo omologo, il presidente del Sudan Omar Hassan al-Bashir, in favore di Meriam, una donna cristiana, incinta e madre di un bimbo di 22 mesi condannata a morte per non aver rinnegato la sua fede”.
Tra i firmatari della lettera, la presidente di Italians for Darfur Antonella Napoli, costantemente in contatto con familiari, avvocati e attivisti impegnati nella battaglia per la libertà di Meriam che vede l’Italia in prima linea. “Il tempo della gravidanza di Meriam sta scadendo: dal primo giugno ogni giorno potrebbe essere utile per il parto - afferma Napoli – Il marito vorrebbe trasferirla in un ospedale o una clinica privata. Ma sembra che non ci siano molte speranze che la richiesta presentata dagli avvocati sia accolta. A meno che, come riferisce Khalid Omer Yousif di “Sudan change now” non sia necessario un cesareo”.