Sudan: imprigionata e condannata a morte per le sue convinzioni religiose. Sosteniamo l'appello per la sua liberazione.

16 maggio 2014 - Miriam non ha voluto rinnegare la sua fede, ora è imprigionata e condannata per le sue convinzioni religiose.

E' stata condannata a morte da un tribunale El-Haj Yousif di Khartoum, l'11 maggio, accusata di apostasia e adulterio. Miriam Yahaya Ibrahim ventisette anni incinta di otto mesi e con un figlio piccolo di venti mesi, aveva tre giorni per riflettere e rinnegare la sua religione cristiana.

La condanna a morte per aver difeso le proprie convinzioni religiose non rispetta il principio della libertà di culto sancito e garantito dalla Convenzione Internazionale sui diritti civili e politici, Trattato delle Nazioni Unite a cui anche il Sudan ha aderito.

Il Sudan ha visto negli ultimi anni una restrizione delle libertà. La legge del Sudan non considera la giovane sposata poiché la sua unione è avvenuta con un uomo cristiano mentre lei, nata da padre di fede islamica secondo la Sharia è considerata musulmana, viene accusata quindi anche di aver commesso adulterio (pena che prevede 100 frustate).

Secondo la Sharia la discendenza paterna tramanda la religione ai figli, e sempre secondo la legge islamica il reato di apostasia viene pagata con la vita. L'accusa di apostasia fatta alla ragazza sembra sia stata portata avavnti da alcuni familiari di linea paterna.

Il padre di Miriam, di fede islamica, se ne è andato però via di casa molto presto, quando la figlia aveva ancora cinque anni, abbandonando lei e la madre, una donna etiope di religione cristiana ortodossa. Miriam è cresciuta  seguendo la fede cristiana, non vuole rinunciare alla sua religione.

La comunità internazionale sta premendo sul governo di Khartoum affinché la condanna venga rivista. l'Avvenire, Amnesty International,   e Italians for Darfur, cercano di sostenere la liberazione della giovane donna, aiutiamoli a liberare Miriam.

Beatrice Gelsi,

Scuola di giornalismo internazionale Lelio Lisli Basso,

In tirocino presso l'ufficio comunicazioni del VIS

fonte La Repubblica