20 febbraio 2018 - Il terzo cumplemes l’ho festeggiato in Italia. Il rientro è stato come un sogno, talmente veloce e surreale che ancora non sono sicura di averlo vissuto veramente. Camminare per le strade di Roma con la mia famiglia, immersa nel profumo di cibo e in tutta quella bellezza... Non me n’ero mai accorta fino in fondo, di quanto il mio Paese fosse straordinario. Siamo tutti viziati, noi italiani, e non ci rendiamo conto che quello che ci sembra normale è unico, e che siamo tra i pochi ad avere la fortuna di goderne. In questa cornice, i miei racconti sulla Bolivia erano ancora più sconvolgenti.
E’ sempre difficile riassumere un contesto e una realtà lontana dalla nostra in poche frasi, come descrivere un paesaggio: puoi raccontare minuziosamente la posizione di tutti gli elementi, ma sai già in partenza che il risultato sarà la rielaborazione personale delle tue parole così come si proiettano nella mente dell’ascoltatore, che lo immagina ma non lo vede e non lo vive. Quando il panorama che tenti di dipingere è triste, la storia si complica ulteriormente, perché vorresti trasmetterla nel modo più obbiettivo possibile, ma non riesci più a distinguere il confine tra fatto, emozione e interpretazione. Ci sono sfumature che non si possono tradurre a parole, momenti talmente intensi che sono impossibili da spiegare.
Come fai a trasmettere quello che provi quando vedi i ragazzini con cui hai lavorato per mesi tornare in strada? Come puoi raccontare i loro occhi così veri, i loro abbracci così forti? Il loro senso dell’umorismo sempre pronto a stupirti, quel modo che hanno di sdrammatizzare anche i fatti più tragici e di condividerli come se niente fosse, perché così è la vita, e loro lo sanno bene. Il confine tra accettazione e rassegnazione è labile, e forse è proprio questo il punto di partenza per il mio lavoro.
Insegnare (ed imparare) ad accettare la sofferenza come parte dell’esistenza, e fornire strumenti per superarla ed andare avanti. “Viniste a ensenarme como es que se aprende”, dice il testo di una canzone che mi piace fargli ascoltare. Siete venuti ad insegnarmi come si impara, siete la dimostrazione che tutto passa, e che l’esperienza non è quello che ti succede, ma il modo in cui tu reagisci. Sono orgogliosa di poter partecipare a questa battaglia quotidiana e di vivere con loro gli alti e bassi che sono il sale dell’adolescenza e delle nostre giornate.
Quando ho salutato i miei non sono riuscita a trattenere le lacrime. Erano un misto di commozione, dispiacere e senso di colpa, perché a volte mi pesa non esserci fisicamente, anche solo per poterli abbracciare. Quel senso di distacco è durato il tempo di un volo, appena ho rimesso piede a Santa Cruz sono stata travolta da un’onda di gratitudine ed energia. Per essere felici dobbiamo concentrarci su quello che abbiamo, non su quello che ci manca. Non posso che essere grata per la fortuna che ho, per l’amore che ho ricevuto sempre dalla mia famiglia e che mi accompagna ovunque io vada, per tutto quello che mi hanno insegnato e che io a mia volta cerco di insegnare. Ho ancora tanto da fare qui, così tanto che non riuscirei ad immaginarmi da nessun altra parte.
Francesca Tosetti, volontaria SC Bolivia