La gestione dei servizi idrici deve essere sottomessa alle regole dell'economia capitalistica. È quanto stabilito dall'articolo 23 bis del decreto legge 112 del Ministro Tremonti, tradotto in legge dal Parlamento il 5 agosto 2008.
Quasi nascosto tra le numerose "disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria" - questo il nome del decreto - , e suscitando molto poco clamore, il 23 bis ha dato il via libera alla privatizzazione di tutti i servizi pubblici di rete idrica da parte degli enti locali e delle stesse multinazionali presenti sul mercato delle acque minerali.
È così stata sancita con una norma nazionale una tendenza già in atto da tempo.
La Gori e la Veolia, entrambe multinazionali della gestione dell'acqua, rispettivamente in Campania e nel Lazio, avevano tentato di avviare le procedure burocratiche per la privatizzazione prima ancora dell'entrata in vigore del decreto stesso. E la gestione dei servizi idrici da parte dei privati ha già portato ad aumenti improvvisi delle bollette , come nel caso di Latina, dove la Veolia ha deciso di aumentare le tariffe del 300%.
Ma questa tendenza a concepire l'acqua come merce anziché come bene comune e diritto fondamentale umano ha in realtà dimensioni mondiali, con conseguenze molto gravi. Attualmente sono cinque milioni le persone che ogni anno muoiono per problemi legati alla mancanza di acqua potabile e si stima che, proprio come effetto della privatizzazione delle risorse idriche, nei prossimi anni potranno esservi milioni di morti per sete.