15 maggio 2013 - Il motivo per cui scrivo è quello di contribuire a far conoscere lo spirito che anima il mondo della cooperazione ed il volontariato internazionale, attraverso il racconto della mia esperienza personale.
Sono ormai circa sei anni che sono impegnato sul campo: un anno e mezzo in Ecuador e poi quattro anni e mezzo in Perù, dove attualmente risiedo, per accompagnare le popolazioni indigene della Foresta Amazzonica sul cammino di uno sviluppo sostenibile dal volto umano,
La decisione di partire delle persone come me che condividono questa scelta di vita non è dettata da una semplice noia, dalla voglia di viaggiare, andarsene dall’Italia dove non si ha un ruolo o dove non si trova un’occupazione. Per lasciare le persone più care,familiari ed amici, rinunciare a vivere con loro la quotidianità, le feste come il Natale, la Pasqua ed i compleanni (quando più forte si sente la loro mancanza), rivederli per qualche giorno dopo un anno di assenza (durante il quale non ci si può sostenere come si vorrebbe, soprattutto nei momenti più difficili), senza parlare di tutte le comodità e le sicurezze, la motivazione deve essere forte e dettata da una ragione superiore.
C’è infatti chi parte anche lasciando un lavoro, magari in un contesto che per la mentalità comune è più “prestigioso” e “ fa più curriculum”, per andare a fare che? Un semplice ed umile volontario internazionale si mormora (non solo tra chi rimane in Italia, ma anche tra quegli italiani che sono andati all’estero ad investire ed iniziare un esercizio commerciale per arricchirsi). E la gente si chiede: “Ma chi te lo fa fare? Si sta tanto bene qui, perché dovresti andare in un Paese in via di sviluppo? Per carità!”. Bisogna sentirsi dire anche questo, quando al partire si va verso una meta sconosciuta, lasciando i propri affetti, certezze e comodità, sapendo che ad aspettarti c’è una realtà difficile, dove la maggioranza della gente non ci penserebbe proprio ad andare. Invece il volontario del VIS ci va ricevendo un onorario modico, in linea con lo spirito dell’organismo, per potere fronteggiare le spese in loco, con la consapevolezza che con la conclusione del periodo di missione, tornerà in Italia dove sarà più difficile reinserirsi, sia a livello sociale che professionale.
Eppure una ragione ci sarà perché si sia tanto ostinati da volere intraprendere questo cammino. Ebbene, la spinta interiore che fa mettere da parte tutte queste considerazioni ed al contrario dà entusiasmo ed allegria nello scegliere coscientemente questa alternativa di vita è sostanzialmente dettata da uno spirito di solidarietà nei confronti di persone e gruppi vulnerabili, che al contrario nostro hanno avuto la “sfortuna” di nascere in un Paese in via di sviluppo, in un contesto in cui mancano o sono limitate le opportunità di emancipazione e di vita in condizioni dignitose.
Quando si parte si è dunque guidati da questo senso di solidarietà e mondialità, secondo la concezione cristiana della fraternità e del sostegno reciproco, consapevoli che la vera gioia stia nel donare più che nel ricevere, nell’incontro interculturale che porta ad uno scambio ed arricchimento reciproco, nella convinzione che la vera giustizia risieda nella necessità che ogni persona e popolo, senza alcuna distinzione, possa godere dei diritti universalmente riconosciuti ed avere accesso a quelle condizioni e servizi di base che rendano possibile una vita dignitosa. Il solo fatto di aver potuto studiare, aver ricevuto un’educazione ed una formazione che a tanti bambini e giovani nel mondo non è dato, o che per potere andare a scuola devono fare sacrifici e magari camminare giorni interi con tutti i tempi (sotto il sole o i diluvi), dà ancora più motivazione a mettere le proprie conoscenze a disposizione di questa gente.
Quando si arriva in un Paese in via di sviluppo si apprezzano veramente le piccole cose, quello a cui in Italia si era tanto abituati e che invece in tale contesto viene a mancare. In particolare, nella zona amazzonica alla frontiera tra Perù ed Ecuador, dove mi trovo ad accompagnare il popolo Achuar, ci sono solo comunità sparse in mezzo alla foresta; in poche di esse c’è una scuola media-superiore (il cui livello d’istruzione è molto basso, tanto che i pochi eletti che seguono poi gli studi in città devono fare un periodo di livellamento scolastico) o quel che a stento può definirsi centro medico per qualche emergenza. San Lorenzo, il villaggio più vicino,è a giorni di navigazione su piccole canoe di legno ed è anch’esso circondato dalla Foresta (ci si accede dopo 8-9 ore via fluviale o 40 minuti in velivoli leggeri, dalla piccola cittadina amazzonica di Yurimaguas). A San Lorenzo c’è luce solo poche ore durante la notte, l’acqua si ottiene dai pozzi, internet è molto limitato, non c’è un sistema fognario, le strade sono sterrate ed in epoca delle piogge (6 mesi all’anno) sono impercorribili.
E’ in questo contesto che il VIS ha deciso di rispondere alla richiesta di sostegno rivolta dal popolo Achuar attraverso i missionari salesiani di Don Bosco che da decenni sono gli unici che li accompagnano per una loro promozione sociale, laddove le istituzioni non arrivano, essendo una zona troppo remota e non notevole di attenzione e tutela, lasciata a concessioni petrolifere che ne mettono alla prova la conservazione.
Con uno sforzo congiunto, VIS, salesiani ed Achuar hanno concretizzato una realtà in cui si sono formati promotori indigeni nel settore agro-forestale e si sono avviate filiere produttive incentrate su piante locali. Tali filiere da una parte valorizzano la biodiversità locale, il lavoro tradizionale di campo e la cultura Achuar; dall’altra hanno dato a questo popolo un’alternativa di sviluppo rispetto a quella offerta da aziende estrattive, che depredano ed inquinano il territorio, causando la morte di specie selvatiche e di chi se ne ciba, così come minano l’unità del popolo. Tutto ciò all’interno di un quadro in cui si conserva l’ambiente circostante, mediante un uso sostenibile delle risorse naturali della Foresta Amazzonica. Così, ora in 20 comunità Achuar, circa 200 famiglie (circa 1.200 persone) possono vendere i loro prodotti e ricevere un reddito per fare fronte alle necessitá che oggigiorno si presentano loro (educazione dei figli, salute, acquisto di strumenti da campo, tra le altre), mentre si è costituita una cooperativa indigena, che si sta accompagnando affinchè possa poi assumere la gestione delle attività una volta concluso il progetto.
Nonostante le sfide che ancora ci aspettano, non finirò mai di stupirmi delle attività edei risultati che si sono venuti costruendo insieme, tra VIS , Salesiani e Popolo Achuar. Ci son voluti anni di lavoro, con giornate da una media di 10 ore lavorative (inclusi sabati e a volte domeniche), con tutte le difficoltà e problematiche che un contesto simile può presentare, ma a sostenerci, oltre alla Provvidenza, è stato l’entusiasmo e lo spirito positivo di plasmare insieme una vita migliore per tante famiglie emarginate e bisognose, che da tempo mandavano richieste di sostegno e nessuno le ascoltava.
Sarebbe bello poter portare ognuno di voi, sostenitori del VIS, a visitare le comunità indigene o partecipare ad un’assemblea Achuar, affinché siano loro stessi a raccontarvi il percorso vissuto insieme, le difficoltà, le sfide e l’impatto del progetto sulle loro vite. Certo sicuramente avreste bisogno di prendervi almeno 2 settimane di tempo, visto che per raggiungere le comunità più vicine e ritornare dalla capitale Lima ci vogliono 8 giorni (di cui 6 navigando sui fiumi per circa 10 ore al giorno, senza potersi alzare, con il rumore assordante del motore e magari in mezzo a diluvi o fiumi bassi che mettono a rischio la navigazione). Tra l’altro, dovreste essere pronti a dormire per terra su sottili stuoini. e e dimenticarela buona cucina del nostro Bel Paese per sperimentare quella locale. Neanche a dirlo, niente acqua (a parte il fiume), né luce, telefono, internet, aria condizionata (visti i 36-40 ºC) ed altri servizi di base. Dovreste poi abituarvi al fango, prendere confidenza con i temporali ed il calore tropicale, le veschiche dovute alle ore di cammino, così come tutte quelle punture di insetti e pappatacei che popolano le comunità.
Tuttavia sono convinto, e ve lo dico per esperienza, che se affrontaste tutto ciò con lo spirito giusto e con la convinzione che la nostra vita messa al servizio di questo popolo possa contribuire, seppur con certi limiti, a facilitare il miglioramento delle condizioni e la dignità dello stesso, sicuramente questi aspetti passerebbero in secondo piano e credo vi rendereste conto che il volontario internazionale è disposto anche a lasciare tuttigli affetti, le proprie sicurezze e comodità, per affrontare questa realtà con consapevolezza, energia, entusiamo, e la motivazione giusta per capire che sta vivendo appieno la sua vita, guardando il mondo da un altro punto di vista.
Vi assicuro che è un’esperienza che vi arricchirebbe profondamente ed alla fine le punture di insetto rimarrebbero solo un vago ricordo.
Enrico Marinucci
Volontario VIS in Perù