resto@ttivo #diaridalmondo - Il solito Ghana, nonostante le mascherine, non si ferma...

8 aprile 2020 - Inizia oggi nell'ambito della campagna resto@ttivo, una serie di testimonianze dai Paesi in cui realizziamo i progetti con la voce di alcuni nostri operatori di sviluppo che hanno scelto di restare nonostante l'emergenza Covid-19. Pubblichiamo oggi testimonianza di Gianpaolo Gullotta, rappresentante Paese VIS in Ghana:

 

Ufficialmente il coronavirus è presente in Ghana dal 12 marzo. Nei giorni successivi, avendo assistito alla tragica situazione in Italia, un brivido mi è corso sulla schiena, pensando che una situazione così grave questo paese africano non avrebbe mai potuto sostenerla, sia dal punto di vista sanitario sia dal punto di vista dell’economia. Attualmente i casi accertati sono 287 e i morti 5. Da giorni abbiamo iniziato anche noi un lento chiuderci a riccio, limitando gli spostamenti e cercando di evitare i contatti fisici. Negli uffici sono comparsi i detergenti per le mani e si sta attenti a prendere tutte le dovute precauzioni. Giorno dopo giorno, i casi aumentano in questo paese dell’Africa Occidentale, ma fuori, per strada, sembra il solito Ghana; non si possono fermare i venditori ambulanti che riescono a vivere vendendo i pacchetti di plantain chips, platano fritto, o i sacchetti d’acqua. Se non facessero quest’attività non potrebbero sopravvivere e ciò vale per migliaia di venditori ambulanti che affollano le vie di Accra e delle città più grandi del paese, come Kumasi, Tamale o Takoradi.

 

In questo turbinio di eventi, abbiamo dovuto rimpatriare due giovani volontarie arrivate da poco in Ghana, pronte a conoscere ed immergersi per un anno in questo universo complesso ed alieno che è l’Africa. Le ho accompagnate direttamente all’aeroporto, siamo entrati in un posto surreale, la confusione era il doppio del solito e pressoché tutti i volti delle persone erano coperti con le mascherine protettive, ovviamente anche i nostri. È stato difficile lasciarle andare senza domandarsi se un giorno torneranno a dare il loro contributo per i giovani vulnerabili, i migranti di ritorno e le cooperative di donne della Brong Ahafo Region. Dispiace vedere avvizzire i sogni di giovani che desiderano intraprendere la professione del cooperante. Infatti ricordo con quanto entusiasmo misi il mio piede per la prima volta in Africa; sbarcando in Tanzania, sarebbe stato difficile interrompere quella prima esperienza formativa e di lavoro per motivi di forza maggiore. Per questo dopo averle accompagnate e sono poi uscito dall’aeroporto l’Africa per me era cambiata, poiché non è mai bello osservare un sogno che muore in una notte non più “orientale”, usando un termine del saggista Edward Said, non ho percepito più quel senso di diverso, di alieno che spesso le notti africane ti instillano nell’anima inebriandoti.

 

Tutte le attività dei nostri progetti di sviluppo hanno subito un arresto o sono molto rallentante a causa delle precauzioni sanitarie che dobbiamo mettere in atto ed a causa delle disposizioni del governo ghanese, emanate direttamente dal Presidente della Repubblica Nana Akufo Addo, il quale ha vietato assembramenti, workshop e meeting fino al 20 aprile. Quindi le nostre giornate passano preparando il dopo emergenza, tenendoci pronti a ricominciare da dove abbiamo lasciato, con la mente sempre rivolta a ciò che sta succedendo in Italia e quello che potrebbe succedere qui in Ghana.

 

Di fronte a questa pandemia, non può che venirmi in mente la ginestra di Leopardi, la bellezza e la voglia di vivere dell’uomo che sboccia anche sulle pendici arse della lava del Vesuvio. Il bellissimo fiore giallo sa che un giorno sarà spazzato via da una colata di lava del vulcano sterminatore, ma nonostante ciò ha voglia di vivere anche su una pendice che sembra l’anticamera dell’Ade. Allora mi chiedo, o forse è il virus stesso che ci pone questa domanda, perché ci affanniamo a fare del male, se già le condizioni in cui viviamo sono precarie? Dovremmo concentrarsi sul fiorire, nel donarsi come fa un fiore che si apre al mondo donando bellezza - infatti nella parola fiore è presente una radice indoeuropea BHLA, che poi si è trasformata in PHLA ed infine FLA, tale radice riconduce a termini greci come phylo, che significa gonfio, quindi nel senso di sbocciare, aprirsi, tendere verso il mondo esterno. Questa tensione verso l’altro nel nostro mondo occidentale degli anni duemila si è perso totalmente, siamo sempre e solo concentrati su noi stessi, su come massimizzare le nostre funzioni di vita. Ha senso fare ciò se poi eventi come questi ci ricordano la caducità della nostra esistenza? Oppure sarebbe meglio aprirsi verso l’esterno e l’altro focalizzandoci sul bene comune e l’essenzialità delle piccole cose?

 

Il mese scorso passeggiando nella campagna di Sunyani, mi colpì un albero caratteristico di quella ragione, si chiama il fiore del deserto, praticamente durante la stagione secca sembra un albero morto, privo di vita, non ha foglie e neppure fiori. Mentre ci si appropinqua verso la piccola stagione delle piogge, inizia a germogliare riempendosi di fiori rossi. L’albero che ho osservato aveva solamente un fiore, un unico fiore che preannunciava l’imminente cambio della stagione. Tra tutti i tralci di rami che sembravano secchi, questa piccola sbavatura rossa, aveva la forza di generare felicità in giorni in cui l’Harmattan, il vento del deserto proveniente dal Sahara, sferzava più che mai, ricoprendo il tutto di sabbia. Dalle piccole sbavature di colore si può ripartire, e la cooperazione dovrà fare lo stesso, reinventandosi in un nuovo mondo che avrà differenti esigenze e bisogni. Perciò anche noi cooperanti dovremo affrontare questa nuova sfida, facendo tesoro di tutti quei rivoli di colore che abbiamo incontrato appena abbiamo messo il nostro piede fuori dall’uscio di casa, quelli saranno il nostro nuovo punto di partenza.