Alla scoperta del mondo Achuar, attraverso gli occhi di Francesco

19 febbraio 2019 - Francesco Nano, agronomo e apicoltore romano, da giugno 2017 ha deciso di aiutare alcune popolazioni dell'amazzonia peruviana nell’ambito di un progetto del VIS. 

 

Francesco, qual è la prima cosa che hai notato quando sei arrivato in Perù?

La mentalità: l’approccio alla vita di noi occidentali è molto diverso da quello peruviano e sud americano in generale. Il contesto socio economico in cui vivono è profondamente differente dal nostro; le cose che a noi sembrano banalmente dovute, come acqua pulita, elettricità, servizi sanitari ed educativi, per loro sono spesso una chimera e per ottenerle sono costretti ad arrangiarsi nei modi più disparati. La necessità di fare fronte ai bisogni quotidiani spazza via tutte le preoccupazioni per il futuro.

 

 

Puoi presentarci le comunità con cui hai avuto relazioni?

Le comunità beneficiarie del progetto, di etnia Achuar, appartengono al più ampio gruppo linguistico degli Jivaro e si dedicano principalmente alla caccia e alla pesca. In misura minore, alla coltivazione di platano, yucca e piante medicinali. Questa forte dipendenza dalle risorse naturali nel corso dei secoli ha sviluppato in loro un legame quasi religioso con il territorio che hanno sempre difeso dai vari tentativi di colonizzazione da parte degli inca e in seguito dai conquistadores spagnoli.

Solo in tempi relativamente recenti gli Achuar e gli altri gruppi etnici hanno intensificato i contatti con il mondo esterno “civilizzato” e progressivamente adottato (in parte) usi e costumi differenti.  Questo ha innescato un processo di sfruttamento intensivo delle risorse naturali nelle zone adiacenti alle differenti comunità le quali, quando le risorse cominciano a scarseggiare, sono costrette a dividersi andando ad occupare zone ancor più distanti e marginali. 

 

 

Puoi dirci qualcosa sul progetto?

L’idea di progetto è nata nel 2009 in seguito a un processo partecipativo in seno alla FENAP – Federación Nacional del Pueblo Achuar (il principale organo rappresentativo degli Achuar del Perù) e su impulso del Missionario Salesiano Padre Luigi Bolla, che da alcuni decenni viveva insieme alle comunità.

La cooperativa che abbiamo creato riceve, trasforma e commercializza i prodotti che i soci portano alla sede a San Lorenzo con cadenza bimestrale. Il sacha inchi e l’olio di ungurahui, sono venduti all’ingrosso, mentre il cacao, dopo alcune prove, a partire da ottobre 2018 ha cominciato ad essere trasformato in cioccolato che per il momento viene venduto sul mercato locale e regionale.

Purtroppo, la transizione da una economia di sussistenza basata sullo scambio informale a una economia di mercato è un processo molto lento. Resta perciò ancora molta strada da fare per rafforzare la cooperativa e la percezione che i soci hanno di sé stessi e dell’attività agricola da loro svolta.

 

 

Il VIS nei suoi progetti tiene molto conto dell'ambiente in cui opera e lo fa adottando tecniche nuove. Puoi parlarci dell'Agroforestry?

Gli Achuar, tradizionalmente, praticano un tipo di agricoltura che si definisce itinerante in quanto l’unica forma di concimazione del suolo consiste nel lasciare le parcelle a riposo per intervalli ricorrenti di 5-10 anni, dandogli il tempo di recuperare spontaneamente i livelli di sostanza organica necessari alla crescita delle colture. In pratica, si utilizza in modo estensivo il territorio a disposizione ruotando tra appezzamenti diversi e da ciò deriva il termine “itinerante”.

Questa pratica resta sostenibile fino a quando la pressione demografica sul territorio non diventa tale da dover costringere le comunità ad accorciare il tempo di ritorno sulla stessa parcella; questo con il tempo degrada l’appezzamento (purma) che viene definitivamente abbandonato in favore di suoli forestali vergini.

Al fine di contrastare questo fenomeno e favorire il passaggio ad una agricoltura conservativa, si è perciò pianificato la riconversione di circa 35 ettari di parcelle degradate attraverso la istallazione sistemi agro forestali. Tali sistemi riproducono in forma semplificata l’ambiente forestale, riducendo i rischi di erosione e di impoverimento dei suoli.