22 settembre 2017 - Sorpasso Carlo e mi aggiudico il meraviglioso posto davanti in taxi. I posti davanti sono sempre i più ambiti: c’è solo un posto davanti nei taxi, in generale in tutte le macchine, ma in Bolivia si creano spesso delle situazioni inverosimili ed esilaranti e capita spesso che una macchina da cinque passeggeri ne trasporti in realtà nove. Io e Carlo di viaggi seduti schiacciati in quel tanto ambito posto davanti ne abbiamo fatti tanti in soli 3 mesi.
Ma stavolta siamo solo io e lui, gli faccio una smorfia e mi accomodo sogghignando: almeno stavolta ho vinto io. Lui mi guarda male e fa finta di ignorarmi. Tipico. Il taxista mi scruta e sentenzia: “Davanti generalmente si siedono gli uomini, señorita”.
Il machismo boliviano non mi stupisce più ormai, quindi gli sorrido soddisfatta e gli sussurro: “Carlo è un vero gentiluomo, señor”.
Santa Cruz de la Sierra vista dal taxi è sempre affascinante: è polverosa, colorata, calda, trafficata, chiassosa e sorridente. Mi incanto, sbircio verso i sedili dietro e Carlo mi dice: “voglio un cuñapè* caldo”. In realtà lo vorrei anche io e il fatto che i nostri stomaci siano ormai sincronizzati sullo stesso canale di orari e gusti mi fa sorridere.
Siamo al termine dei nostri primi 3 mesi di servizio con il progetto dei Corpi Civili di Pace avviato a giugno.
È ora di tirare le somme delle prime emozioni.
Il lavoro è tanto, è impegnativo, ma le giornate nei centri volano. C’è da pianificare il lavoro nei minimi dettagli, soprattutto ultimamente, preparare ogni taller, aiutare gli educatori, fare i pagliacci e i maestri, senza mai smettere di creare relazioni magiche con ogni bambino e ogni ragazzo. Quella è la parte più semplice e incredibile. I bambini ci ringraziano spesso, a volte ci sforziamo per capirne la ragione.
A volte succede che siano loro stessi a dircelo: “Grazie per avermi ascoltato”, “Grazie per avermi aiutato con i compiti”, “Grazie per essere qui ogni giorno”. Ed è questo che ci fa tornare a casa esausti ma sempre felici.
“Sarà possibile educare questi bimbi e ragazzi alla nonviolenza?”. Che bellissima parola. Torniamo a casa ogni giorno con questo interrogativo, ce lo portiamo dietro come uno zaino pesante. Il più delle volte non sappiamo cosa risponderci, a volte ci riflettiamo insieme e ci confrontiamo, anche perché siamo in Bolivia per questo e ci dovremo dare una risposta per forza.
Io e Carlo siamo soprattutto positivi. Essere positivi vuole dire anche essere forti. È una qualità di cui mi sono sempre vantata, ma non avevo mai sperimentato il fatto della forza di essere positivi in due.
Questa è la nostra più grande risorsa, non c’è dubbio e il lavoro con i bambini sull’educazione alla nonviolenza è la nostra più grande sfida.
L’aereo decolla, dobbiamo cercare di dormire, stiamo tornando in Italia per pochi giorni. Sappiamo entrambi che quando torneremo in Bolivia sarà ancora più tosta. Dovremo fare altri mille viaggi seduti in due nel posto davanti. Avremo giorni ben più difficili da affrontare. Ma ci siamo, non siamo soli.
L’aereo traballa e Carlo si mette le ginocchia al petto. “Si può sapere cosa stai facendo?”. Mi guarda serissimo e risponde: “Un giorno un aereo è caduto e un tizio che era in questa posizione si è salvato”. Lo guardo come fosse un idiota colossale, ma due secondi dopo sono nella stessa posizione anche io.
Mi viene in mente che non ci siamo mangiati i cuñapè caldi.
Ma non glielo dico, che poi mi tocca sopportarlo per tutto il volo.
Giulia, operatrice dei Corpi Civili di Pace in Bolivia con il VIS
* cuñapè: panino a base di farina di manioca e formaggio