3 febbraio 2017 - Oggi 3 febbraio 2017, i 28 Capi di Stato e di governo dei Membri dell’Unione Europea si incontreranno a Malta per discutere la dimensione esterna della migrazione; in particolare la discussione sarà incentrata sulla rotta del Mediterraneo centrale e la Libia.
La Commissione e l'Alta rappresentante/vicepresidente hanno presentato la settimana scorsa diverse misure supplementari per rafforzare l'operato dell'Unione Europea lungo la rotta del Mediterraneo centrale, in particolare in Libia - punto di partenza per oltre il 90% di quanti cerchino di raggiungere l'Europa - e nelle zone limitrofe (quali Tunisia, Egitto e Algeria). Queste azioni mirano principalmente a debellare le reti della tratta e del traffico di esseri umani e garantire training alla guardia costiera libica per operazioni di salvataggio di vite in mare. Poca attenzione viene riconosciuta alla protezione dei migranti e rifugiati bloccati in Libia e di tutte le persone, inclusi minori, che rischiano di essere rimandati indietro in paesi non sicuri.
Il CINI, in vista dell’incontro esprime forte preoccupazione per la proposta UE per contenere i flussi migratori sulla rotta del Mediterraneo centrale e la Libia.
Dichiara in tal senso Antonio Raimondi, Portavoce del CINI:
"Le ONG aderenti al CINI - Coordinamento Italiano NGO Internazionali, sono fortemente preoccupate dall’approccio securitario volto al controllo delle frontiere esterne dell’Unione Europea,condiviso e supportato dagli Stati Membri per una gestione dei flussi migratori basata principalmente, se non esclusivamente, su sicurezza, controllo dei confini, rimpatri, respingimenti e quote di ingresso. La preoccupazione è tanto più viva dal momento che lo stesso approccio sembra riflettersi nell’impianto del Fondo Africa italiano appena annunciato ".
Il CINI chiede con fermezza di:
Considerare il contributo dei migranti all’economia e alla società e supportare l’integrazione delle persone in arrivo in Europa alla ricerca di opportunità di vita migliori o che, costrette a scappare da guerre, conflitti e povertà estrema, reclamano il diritto di presentare domanda di protezione internazionale;
Garantire maggiore trasparenza negli accordi che gli Stati Membri dell’Unione Europea e l’Unione Europea stessa portano avanti con paesi terzi, attraverso il sistema sancito nel “Migration Partnership Framework” della Commissione europea. I paesi vengono selezionati prevalentemente in quanto paesi di origine e di transito dei migranti e richiedenti asilo in Europa, ponendo inevitabilmente un principio di condizionalità agli aiuti legati alla capacità di gestione dei paesi stessi del fenomeno migratorio. L’Aiuto Pubblico allo Sviluppo deve avere come principale obiettivo la riduzione della povertà estrema ed essere allocato in base ai bisogni dei beneficiari, non su considerazioni di carattere politico;
Garantire accesso alla protezione internazionale per chi ne ha diritto in paesi che hanno ratificato la Convenzione di Ginevra. Non è il caso della Libia, né tantomeno della Turchia al momento dell’accordo con l’Europa. I ritorni verso paesi terzi non sicuri espongono a rischio di abusi, violenze sessuali e psicologiche, tortura, traffico, reclutamento da parte di gruppi armati, sfruttamento e tratta le persone che cercano protezione. Non viene garantito in alcun modo il rispetto dei diritti fondamentali delle persone che migrano alla ricerca di opportunità di vita migliori o che scappano da situazioni di conflitto, guerra, persecuzioni, nel pieno rispetto del principio del non-refoulement. Al riguardo, la Libia non garantisce ai richiedenti asilo un’adeguata protezione contro il rischio di rimpatri verso i paesi di origine dove possono essere vittima di persecuzioni e trattamenti disumani. In particolare, alcune categorie più vulnerabili, inclusi i minori, non sono espellibili e il loro superiore interesse va sempre tenuto in preminente considerazione in tutte le procedure che li riguardano, inclusi in caso di ritorni che, oltre a dover essere volontari e assistiti, devono sempre essere finalizzati a tutelare il diritto all’unità familiare;
Accelerare l’apertura di canali sicuri e legali verso l’Europa che prevengano la traversata in mare e l’utilizzo di rotte migratorie pericolose che possano essere adottati nel breve termine per garantire una migliore gestione dei flussi migratori in garanzia dei diritti umani. Questo può essere realizzato anche attraverso il rafforzamento/l’aumento dei canali legali già previsti quali il ricongiungimento familiare, il reinsediamento, i visti umanitari, visti per motivi di studio e lavoro, programmi di sponsorship privata.
La Corte europea dei diritti umani si è pronunciata nel 2012 su ritorni effettuati dall’Italia verso la Libia di migranti intercettati in mare. La Corte ha pienamente condannato l’Italia per la violazione del divieto di sottoporre a tortura e trattamenti disumani e degradanti (art. 3 CEDU), l’impossibilità di ricorso (art.13 CEDU), il divieto di espulsioni collettive (art.4 IV Protocollo aggiuntivo CEDU) e la violazione del principio di non-refoulement asserendo che la Libia non può essere considerata un paese sicuro in materia di diritti dell'uomo.
Chiediamo pertanto che l’Europa - e l'Italia - non si facciano promotrici di piani di cooperazione con paesi terzi che non siano compatibili con i valori fondamentali dell’Unione Europea e degli Stati membri.
Numerosi sono stati i rapporti sulla situazione umanitaria in Libia dove i migranti e rifugiati in transito vengono tenuti in centri di detenzione. Alternative alla detenzione che tengano in conto il superiore interesse del minore e il diritto all’unità familiare devono essere identificate, in collaborazione con le organizzazioni del settore, per evitare che la detenzione continui ad essere la soluzione per l’accoglienza dei migranti e rifugiati.
I minori non possono essere detenuti, devono essere rilasciati e collocati in altro alloggio appropriato per loro e le loro famiglie. L’approccio degli Stati deve essere di assistenza e non di detenzione.