12 dicembre 2016 - Alessia è volontaria in servizio civile con il VIS in Bolivia. È arrivata da poco e si sta ambientando in questo “nuovo mondo”. Ci racconta la propria esperienza tutto d’un fiato, l’atterraggio, lo spostamento nella nuova temporanea casa, la visita al Centro Hogar Don Bosco, il suo entrare nel vivo del progetto.
“Svegliarsi dall’altra parte dell’oceano, ancora in volo sopra chissà quale parte del Brasile, direzione Santa Cruz de la Sierra, l’ombelico dell’America Latina; inizia così. Incredibili sono la tranquillità e la pace inaspettate date dall’essere esattamente nel posto giusto e al momento giusto, facendo quello in cui si crede e che rappresenta la propria persona. Temevo l’ansia del viaggio, il tremolio alle gambe che spesso mi accompagna durante il salto nell’ignoto; mani sudate, bocca impastata e quel ronzare nella testa della fatidica domanda “ma che ci faccio io qui?”. Tutto questo semplicemente non accadde. Al contrario uno stato di positiva euforia e curiosità, di ascolto e pazienza, e di momenti di sbigottimento dovuti alle tante novità mi accompagna ancora oggi, adesso, dopo più di due mesi di permanenza e servizio all’iterno del progetto. Allo stesso tempo, il calore familiare e l’entusiasmo con i quali siamo accolte all’interno dell’equipe rendono il nuovo lavoro più digeribile, interiorizzabile e spontaneo.
Il programma parte subito: dopo essere entrate in possesso delle nostre stanze, aver visto casa e iniziato a respirare bene questa aria calda, impolverata e frastornante della nuova città, già giriamo all’interno degli uffici stringendo mani e abbracciando gente; bacio sulla guancia destra, solo uno, come si usa da queste parti. E già la prima esperienza gastronomica di un pasto saporito, speziato, di una pesantezza incredibile ma troppo gustoso per essere rifiutato. A chi pensi che in Bolivia si mangino per lo più chilate di frutta esotica e verdura fresca di stagione devo dire che in tutti gli angoli della città si friggono incessantemente polli, galline e spiedoni di pura carne. “Gli piace assai” come si dice dalle mie, di parti. Niente dieta vegetariana insomma, qui non è di moda.
Occhi, orecchie, gola e cuore mi si aprirono sin da subito, nel conoscere persone meravigliose, colorate e solari, ma il vero primo passo verso la sincera e profonda partecipazione a questo lavoro penso di averlo fatto nel momento in cui ho messo piede, per la prima volta, nel primo “hogar”, ossia centro residenziale per bambini e adolescenti ad alto rischio sociale, che abbia mai visto nella vita, Hogar Don Bosco. In quel momento si che ho capito quale fosse il motivo profondo che mi spinse ad intraprendere il Servizio Civile all’Estero. Ed è una motivazione difficlmente esprimibile a parole, che siano scritte o che escano dalla bocca in esotici racconti. È uno stato, di coscenza forse, di animo, una ventata che ti trapassa e ti lascia non come prima, cambiato. E che ventata mi sono presa!
Ero accompagnata dal coordinatore del centro che mi stava mostrando le varie stanze, cucina, lavanderia, dormitori, e i vari spazi esterni, il campo da calcetto che solo guardandolo ci si immagina di vedere i bambini e i ragazzi correre dietro al pallone. Erano vuoti questi spazi, in quel momento, perchè tutti erano nelle classi, a fare i compiti. Erano le due del pomeriggio da poco passate. Io ero destinata ai grandi in quanto i più piccoli erano già aiutati dalle volontarie provenienti dalla Germania. I grandi, quindi. Divisi secondo l’anno scolastico che frequentano e che spesso non combacia con l’età che dovrebbero avere. Lo studio è comunemente indigesto per molti giovani di tutti i paesi di tutto il mondo, e lo è anche qui. Entro nella prima aula studio senza sapere non dico bene, ma minimanete quello che mi aspettasse dietro la porta. Saranno stati una quindicina di ragazzi, chi seduto chi in piedi, magari uno chinato sul libro di un altro intento a leggere pagine di storia o geografia. Entriamo, io e Jesus, la mia guida che si chiama così senza ironia né riferimento alcuno, e tutti gli sguardi di quei giovani mi pivono addosso, e l’aria si muove per il girarsi delle teste, e la mia gira anche un poco, un istante. Wow. Ho vissuto un momento di stupore. Il mio sguardo si muoveva rapido incrociando gli altri sensa sapere su chi soffermarsi, e si apriva sul viso il dolce taglio di un sorriso che ne contagiava molti altri. Vengo introdotta da quella voce buona e rispettabile, saluto e vengo salutata, mi giro intorno cercando di non tralasciare nessuno, di assaporare tutto quell’istante, quell’infinità di informazioni che mi arrivavano dalle più piccole cose, dai banchi alle unghie un po’ nere, i vari tagli di capelli, gli odori, il vociare curioso e divertito e la profondità di quei tanti occhi, nerissimi. Ecco l’euforia di cui parlavo poco sopra. Ero entrata in uno stato emotivo nuovo e sconosciuto, e ne ero incredibilmente felice. “Eccomi qui” mi diceva questo stato, “eccoti qui”.
Esco da quell’aula fluttuando per visitare le due restanti. Ogni classe un mondo, storie di vite, tante vite, grandi dolori ma anche meravigliose gioie, energie. Dopo aver finito il tour ecco che arriva la domanda: “in quale classe ti vuoi femrare? Scegli tu.” E che ne sapevo io. Quella domanda mi sembrava la più irrispondibile. Come decidere? Credo di essere stata guidata da quel primo più intenso momento di puro stupore, perchè la quasi ovvia risposta è stata: “la prima. Scelgo la prima!”. Rientro così nella stanza per affiancare Gustavo, l’educatore di turno nel pomeriggio, che annuncia ai ragazzi che mi sarei fermata con loro fino alla fine della settimana; respiro profondo, il primo passo un poco più incerto, il secondo già viene più facile, mi avvicino ad un gruppo di loro, di questi ragazzi, e inizaimo a parlare. E non mi domando più come si faccia, lo faccio e basta, e non posso smettere.
E questo è solo l’inizio”.
Alessia M., Volontaria in Servizio Civile - Proyecto Don Bosco, Santa Cruz de la Sierra - BOLIVIA