09 ottobre 2015 - “Curare le ferite della guerra in Bosnia-Erzegovina attraverso educazione e divertimento”
Il primo settembre scorso è tornata a suonare la campanella per gli alunni del Katolički Školski Centar Don Bosco a Žepče, in Bosnia-Erzegovina. Un centro scolastico all’avanguardia, frequentato da circa 400 ragazzi suddivisi tra liceo ginnasio, istituto tecnico e centro di formazione professionale. Qui i giovani ricevono un’istruzione di qualità che permette loro di avere maggiori possibilità lavorative, dato non trascurabile in un paese come la Bosnia-Erzegovina con un tasso di disoccupazione giovanile oltre il 60%; ma il KSC di Žepče non è solo una scuola.
È anche un luogo di incontro, di gioco e di divertimento. I ragazzi infatti hanno a disposizione degli spazi, come il centro sportivo e l’oratorio, dove possono trascorrere in sicurezza, divertendosi, i pomeriggi e i fine settimana. Un aspetto fondamentale in un contesto come quello bosniaco-erzegovese, in cui la mancanza di luoghi di socializzazione rende spesso i giovani particolarmente soggetti a una passività e a una mancanza di fiducia nel futuro, che a volte li spinge verso comportamenti di devianza sociale quali l’alcoolismo e la microcriminalità.
Ed è qui che dal luglio scorso sto svolgendo il mio anno di Servizio Civile all’estero con il VIS. Assieme a Simone, il volontario che è partito con me, collaboriamo con gli animatori del centro per organizzare attività ricreative rivolte a bambini e adolescenti dai 6 ai 16 anni. Oltre a questo, personalmente mi occuperò di tenere un corso di lingua e cultura italiana aperto a tutti i giovani della città, che inizierà a metà ottobre, e… che sembra aver già suscitato l’interesse di diversi ragazzi!
In questo periodo stiamo pianificando delle attività per celebrare il ventesimo anniversario degli accordi di Dayton, che nel novembre del 1995 misero fine al più cruento conflitto in Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale. Un conflitto che non sembra essere ancora del tutto superato, purtroppo.. Le ferite della guerra sono ancora ben visibili nei buchi di proiettile che decorano macabramente i muri degli edifici di Žepče e dell’intera Bosnia-Erzegovina; le zone rurali sono disseminate di interi villaggi completamente distrutti e abbandonati dopo la guerra.
Ma gli effetti del conflitto si fanno sentire, e forte, soprattutto nei cuori e nelle parole delle persone. In tanti continuano a ragionare in un’ottica dicotomica, in cui “noi” e “loro” sono due universi separati e incompatibili: croato-cattolici, bosniaco-musulmani e serbo-ortodossi sembrano non sentirsi parte di un’unica comunità nazionale, e in certi casi fanno di tutto per marcare in maniera sempre più netta le differenze. La cosa che mi ha sorpreso di più è che questo atteggiamento si riscontra anche tra i più giovani, nati diversi anni dopo la fine della guerra, influenzati dai discorsi che sentono fare dai più grandi, dalla proprie vicende famigliari e da una cultura ormai profondamente radicata nell’intera società.
E’ proprio questo motivo che ci spinge a lavorare con i giovani, cercando di cambiare questa prospettiva di chiusura e diffidenza verso ogni persona appartenente ad altri gruppi etnici. Una sfida senza dubbio impegnativa per Simone e per me: si prospettano altri nove mesi di lavoro intenso e difficile, e siamo consapevoli che spesso ci sentiremo rispondere “ne”. Ma siamo convinti che con pazienza, lavorando con i ragazzi quotidianamente e con costanza, attraverso piccoli gesti, azioni semplici, qualche parola, potremo tornare in Italia, a giugno, con la speranza di aver lasciato un contributo. Un contributo più o meno grande che possa permettere ai ragazzi di Žepče di costruirsi un futuro migliore, vivendo un presente più sereno.. guardando avanti, oltre che indietro.