La difficile situazione della valle di Cremisan: Battir, Beit Jala, e Cremisan a rischio

8 settembre 2015 - La valle Cremisan è situata lungo la linea di giunzione tra la Cisgiordania Gerusalemme e si estende da Beit Jala al villaggio di Al-Wallajeh e ai confini del 1967, la cosiddetta “Green Line”. Prima della Nakba (Catastrofe) del 1948, la valle collegava i villaggi presenti a ovest di Gerusalemme come Al-Malha e Ras Abu Ammar alla città di Betlemme.

La parte settentrionale della valle Cremisan è famosa per le sue cave di pietra mentre l’area meridionale è conosciuta per i suoi terrazzamenti agricoli, di cui oltre il 60% degli alberi di ulivo di Beit Jala, cittadina famosa per la qualità delle sue olive e olio d'oliva.

All'interno della valle di Cremisan si trovano numerose circoscrizioni: parte della municipalità di Beit Jala, parte dell’insediamento israeliano illegale di Gilo, due ordinisalesiani, un monastero (con una cantina di vini) e un convento (con una scuola materna), ai quali si aggiungono molteplici abitazioni private e proprietà, per un totale di 58 famiglie.

Parti di Cremisan si trovano in una zona sotto controllo israeliano esclusivo classificatoArea C, status che rende praticamente impossibile per il governo palestinese, il comune Beit Jala o alle famiglie locali proprietarie dei terreni di sviluppare l’area. Servizi di base come acqua potabile e la raccolta dei rifiuti e la loro gestione sono soggetti a controllo israeliano. Israele ha già confiscato 22 dunam di terra e costruito 22 insediamenti.L’espropriazione di terreno e abitazioni è favorita anche dalla difficoltà dei palestinesi di provarne la proprietà.

Nel 2006, a seguito degli attacchi terroristici verificatisi durante la seconda intifada (2000 - 2005), il ministero israeliano della Difesa ha espresso l'intenzione di costruire un muro di separazione lungo la lunghezza della valle Cremisan. Il governo palestinese sostiene invece che il percorso del muro sia stato progettato per requisire più terra possibile, trasformando l’occupazione in annessione e collegando le colonie, illegali secondo gli accordi internazionali, di Gilo, Har Gilo e Givat Hamatos. In effetti la costruzione del muro porterebbe al sequestro notevole di terra palestinese, in maniera negativa il funzionamento del convento, del monastero e delle terre agricole, senza alcun riguardo per i diritti e le esigenze delle realtà presenti nella valle.

A partire dal 2006 i proprietari terrieri si sono impegnati in una battaglia legale contro il Ministero della Difesa israeliano, ai quali si sono affiancati, a partire dal 2010, il convento e il monastero salesiani. Dopo 8 anni di procedimenti legali, nel mese di aprile 2015, la Corte Suprema di Israele ha rigettato il piano di costruzione del muro presentato dal Ministero della Difesa in quanto troppo lesivo degli interessi delle parti interessate, affermando che i lavori per la costruzione del muro attraverso Beit Jala si sarebbero dovuti bloccare e dicendo al governo di prendere in considerazione percorsi alternativi.

Questa sentenza ha lasciato pensare and una sorta di svolta sul piano legale, visto che si trattava della prima volta che la Corte Suprema andava contro il parere del ministero e dell’esercito; ma purtroppo si trattava di una speranza vana. Il 6 luglio infatti il tribunale ha annullato la decisione, stabilendo che il divieto precedente si riferiva solo ad una zona di poche centinaia di metri a fianco del monastero di Cremisan.

Il 17 Agosto 2015 nonostante il fatto che i procedimenti giudiziari siano tuttora pendenti dinanzi all’ Alta Corte israeliana, l'esercito è arrivato senza preavviso a Beir Onah - Beit Jala, accompagnato da ruspe e mezzi pesanti. L'esercito ha iniziato sradicare ulivi secolari che risalgono fino a 2000 anni fa e a spianare le terre in preparazione per la costruzione del muro di separazione. Le operazioni dell'esercito israeliano sono tuttora in corso nelle terre e, in risposta alle insistenze israeliane sulla costruzione del muro, manifestazioni e proteste si svolgono frequentemente sul campo.

Il 30 Agosto i cristiani palestinesi dell’area di Beit Jala si sono scontrati con le forze israeliane dopo la celebrazione della messa domenicale, quando i manifestanti, tra cui sacerdoti, hanno marciato per protestare contro la ripresa dei lavori per la costruzione del muro di separazione.

Le forze israeliane hanno sparato lacrimogeni contro i manifestanti e momenti di tensione sono scoppiati quando l’esercito ha tentato di reprimere la protesta. Due manifestanti sono stati arrestati con l'accusa di lancio di pietre contro i soldati a guardia della zona di costruzione.

Michel Sabbah, uno dei diversi sacerdoti hanno partecipato alla marcia, arcivescovo e ex patriarca latino di Gerusalemme, ha denunciato il lavoro cominciato all'inizio di questo mese.

Questa terra appartiene a noi” ha detto, “qualunque cosa facciano, qualunque cosa dicono i loro tribunali, questa terra appartiene a noi e tornerà a noi un giorno. Tu sei più forte con le tue armi, ma tu non sei il più forte quando si tratta di umanità”.

Monsignor Sabbah ha esortato il mondo per sostenere la popolazione di Beit Jala nella loro battaglia contro il muro di separazione e ha invitato l'Autorità palestinese a portare l'attenzione sulle violazioni israeliane contro i palestinesi.

Israele ha iniziato la costruzione del muro di separazione con lastre di cemento, recinzioni e filo spinato all'interno della Cisgiordania occupata nel 2002, al culmine dellaSeconda Intifada, o rivolta, sostenendo che era cruciale per la sicurezza. La Corte Internazionale di Giustizia ha stabilito nel 2004 che la costruzione del muro era illegale e, come l'Assemblea generale delle Nazioni Unite, ha chiesto che venga smantellato.

I palestinesi, molti dei quali si riferiscono ad essa come il “muro dell'apartheid”, dicono il muro è un furto di terra, sottolineando che una volta completato, l'85 per cento di esso sarà stato costruito all'interno della Cisgiordania. L’ONG palestinese ARIJ (The Applied Research Institute of Jerusalem), afferma inoltre che il muro annette circa il 13 per cento della superficie totale della Cisgiordania.

Foto: Simone Pellegrini