23 giugno 2015 - Oggi Giovanni Lo Porto, cooperante italiano rapito in Pakistan e ucciso a gennaio da un drone americano in un'azione antiterrorismo, avrebbe compiuto gli anni. Noi continuiamo a ricordarlo e ad unirci alla famiglia nella richiesta di chiarezza sulla sua morte. Oggi pubblichiamo un articolo che trovate nell'ultimo numero della nostra rivista "Un mondo possibile" dedicato proprio a Giovanni, nella rubrica "Previsioni" che raccoglie le notizie dal mondo e le cataloga in base alle previsioni metereologiche "sereno, piogga e nuvoloso". In genere pubblichiamo vari flash, ma questa volta abbiamo fatto una eccezione.
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Cari lettori di Un Mondo Possibile
questa volta il cielo delle nostre previsioni è davvero pieno di pioggia.
Abbiamo deciso di dedicare questo spazio ad una sola nuvola nera. Quella che ha investito Giovanni Lo Porto, il cooperante italiano rapito in Pakistan il 19 gennaio 2012 e ucciso il 15 gennaio 2015 in un’operazione antiterrorismo dell’esercito americano.
Dietro al nero della nuvola si nascondeva infatti un drone utilizzato per le raffinatissime azioni di guerra contro i talebani nel nord del Waziristan, in Pakistan, al confine con l’Afghanistan. Era lì che si trovava ancora in vita Giovanni Lo Porto insieme a un altro operatore umanitario, il medico americano Warren Weinstein.
Ha dell’assurdo questa storia. La notizia mi ha raggiunto mentre ero in Etiopia, seduta vicino a dei cooperanti, degli operatori per lo sviluppo, colleghi di Giovanni che proprio con lui avevano condiviso un corso di formazione a Milano, prima che lui partisse per il suo ultimo lavoro in Pakistan. Un sms mi avvertiva della sua paradossale morte. E la pioggia di quella nuvola iniziava a bagnare di tristezza e di rabbia quella bella giornata di lavoro ad Addis Abeba.
Un drone americano, per errore, aveva ucciso Giovanni. Il Presidente americano aveva chiamato il nostro Presidente del Consiglio per scusarsi per quanto accaduto. Penso che neppure nelle fantasie più estreme o nei sogni più orribili si fosse pensato ad un finale straordinario e beffardo come questo.
Come ho scritto nel giorno della notizia della morte di Giovanni e come abbiamo sempre scritto negli appelli lanciati dal VIS, dalla rete delle ong del Cini, di Link2007, dell’Associazione Ong Italiane, io nutrivo una forte speranza che Giovanni tornasse a casa. Tutti confidavamo che ci fosse un lieto fine a questa terribile storia.
E’ stato doppiamente doloroso vedere, all’indomani della notizia della morte di Giovanni, il Ministro degli Esteri italiano riferire ad un’aula del Parlamento semideserta su quanto accaduto. E’ stata un’ennesima lama inflitta nello stomaco di chi crede nella cooperazione internazionale, nel volontariato, nel rispetto dovuto ad una famiglia, quella di Giovanni di cui ci sentiamo parte anche noi perché Giovanni era una persona come molte di quelle che conosciamo e che vediamo formarsi, crescere come uomini e donne capaci di donarsi agli altri, con professionalità e impegno. Persone che vediamo partire per le periferie invisibili del mondo, semplicemente per fare il lavoro che hanno scelto e che spesso coincide con una scelta di servizio e una visione di mondo nella quale tutti abbiamo la responsabilità di contribuire a renderlo migliore, possibile.
E allora questa volta lo spazio delle previsioni del tempo lo dedichiamo a Giovanni e a tutti gli operatori di pace come lui e invito tutti voi a sottoscrivere l’appello che gli amici, i colleghi, la famiglia di Giovanni hanno scritto per chiedere piena luce sul suo caso.
Un appello non può cambiare i fatti, non può eliminarne il dolore, ma può ridargli quella dignità, quel rispetto che gli sono dovuti e che rendono meno difficile la convivenza con quella maledetta nuvola nera.
Alessandra Tarquini
Ufficio Comunicazione VIS