5 marzo 2015 - Questa mattina partecipiamo al convegno sulla sostenibilità promosso dalla Facoltà di Filosofia dell'Università Pontificia Salesiana, assieme all’Associazione Nuova Costruttività e in collaborazione con The Institute of Ecology and Bioethics dell’Università Cattolica Cardinale Stefan Syszynski di Varsavia e la FSC. Condividiamo con voi il testo dell'intervento "Sfide della sostenibilità al livello planetario" di Barbara Terenzi dell'Ufficio Diritti Umani e Advocacy del VIS.
Sfide della sostenibilità al livello planetario
Guardando al passato, scopriamo tappe importanti dell’elaborazione del concetto di sostenibilità che ci aiutano a capire come questa riflessione non solo sia partita molto tempo addietro, ma anche, quanto tutto questo abbia contribuito allo scenario di oggi, dove parlare di sostenibilità sicuramente non può essere più inteso come un approccio ristretto e focalizzato solo su alcuni aspetti legati esclusivamente alle risorse ambientali del nostro pianeta o in termini strettamente finanziari.
Ecco allora alcuni nomi, alcuni fatti.
- Primo fra tutti: Alvin Toffler. Autore di Future Shock, segna nel 1971 mette a fuoco il concetto di mutamento sociale ed esamina i molteplici modi in cui potrà cambiare la società evidenziando come il progresso non dovrebbe essere focalizzato solo sullo sviluppo in quanto tale, ma avere una visione aperta e integrata.
- Allo stesso tempo il Club di Roma, organizzazione internazionale fondata nel 1968 da Aurelio Peccei, commissiona nel 1972 al MIT il famoso Limits to Growth, il rapporto sui limiti dello sviluppo basato su una simulazione al computer che lancia le seguenti ipotesi:
E’ una rivoluzione di pensiero: “comincia così quel cammino che porta alla consapevolezza che il mondo si stava muovendo verso problemi non più settoriali ma globali e della necessità di un sistema economico accettabile socialmente” .
Appaiono già i primi segni di quei concetti legati alla “justicia social”che saranno poi reclamati a viva voce nel corso dei grandi appuntamenti mondiali del sistema Nazioni Unite in materia di diritti umani: a partire dalla Conferenza Mondiale della Donna di Pechino 1995 e a continuare fino ai nostri giorni con i MDGs e gli attuali SDGs .
Il Club di Roma farà avanzare ancora il discorso con una serie di rapporti successivi per finire con il suo ultimo V Rapporto, Goals for Mankind, coordinato dal filosofo della scienza Irvin Lazlo, dove cercherà di disegnare un quadro ideologico di riferimento.
(2)Come non ricordare Futuribles , e il suo corrispettivo italiano Futuribili, il neologismo creato nel 1967 da Bertrand de Jouvenel in Francia e poi tradotto in un’organizzazione internazionale e un filone di pensiero da cui prende avvio tutto un movimento di riflessione e studio che si occuperà per anni di esplorare la progettazione a lungo termine intesa come un range di soluzioni possibili piuttosto che di una risposta univoca ai problemi.
Intanto in Italia si aggiungerà un think tank sullo studio della previsione umana e sociale, ancora una volta a Roma, l’IRADES, istituto ricerche applicate documentazione e studi, che, oltre a collaborare con il Club di Roma, per alcuni anni affiancherà e sarà di supporto alla CEI (Conferenza Episcopale Italiana) e coopererà con il Pontificio consiglio della giustizia e della pace, Iustitia et Pax, con il Cardinal Koenig, organizzando poi a Frascati nel 1973 il Convegno Mondiale di Studi sul Futuro.
Nel 1989 contribuisce al dibattito Marshall McLuhan per il quale la Terra grazie alla nuova dimensione, creata dai media, si è trasformata in un global village, anticipando ciò che poi andremo a sperimentare con l’evoluzione della telematica, i social media e dei mezzi di supporto di cui oggi vediamo solo l’inizio!
Ruotano intorno a questo mondo di elaborazione e ricerca grandi figure del nostro tempo: per l’Italia oltre ad Aurelio Peccei, Pietro Ferraro , Sergio Cotta, Silvio Ceccato, Giorgio Nebbia, Sabino Acquaviva, Giuseppe De Rita, Bruno de Finetti ; a livello internazionale, oltre a De Jouvenel, Fred Polak, Ossip Flechtheim, Louis Mumford, Robert Jungk, Johan Galtung, John McHale, Yehzkel Dror, Sam Cole, Ian Miles, Igor Bestuzhev Lada ed altri ancora. Lo stesso Mihail Gorbachov ricorderà poi l’influenza sul suo pensiero di Peccei e del Club di Roma .
Accanto a questa speculazione scientifica, assistiamo al consolidamento di un quadro ideologico di riferimento a livello globale ad opera del sistema delle Nazioni Unite di costruzione di un’architettura dei diritti umani che in qualche modo integrasse queste riflessioni. Nella strategia onusiana, infatti, da una parte si declinano le scoperte e le proposte di una speculazione teorica e dall’altra si attua un programma concreto per la realizzazione di strumenti di azione attraverso programmi d’intervento decennali sostenuti da dispositivi pattizzi a cui invitare gli Stati membri che complementano le scoperte e il nuovo approccio alle problematiche connesse con la sostenibilità.
Pensiamo allora alla complessa struttura di convenzioni e meccanismi ONU definiti Human Rights Bodies che costituisce il supporto principale del gioco internazionale in materia, al quale sono chiamati a ricoprire un ruolo centrale ed efficace gli Stati membri che ne riconoscono la validità e importanza, in quanto portatori di obblighi precisi di rispetto e di ottemperanza.
Si arriva così a comprendere come si sia pervenuto alla costruzione di un programma di Obiettivi di sviluppo del millennio, oggi in fase di rielaborazione, con un approccio molto più partecipato e dal basso, trasformati in Obiettivi di Sviluppo Sostenibile , in cui appunto a sviluppo si affianca il concetto di sostenibilità. Obiettivi questi che pongono per gli Stati membri dell’ONU target precisi da raggiungere per il 2015 e oltre. La globalità degli obiettivi e la loro interdipendenza è evidente; si percepisce come l’elaborazione fatta fin qui abbia inciso ampliando l’approccio e la visione tout court delle risorse disponibili, della sostenibilità e della necessità urgente di politiche e strategie per la sopravvivenza dell’umanità.
Osserviamo allora quale sia oggi lo stato dell’arte.
E’ stato sicuramente fatto un lunghissimo percorso che si è tradotto in molti cambiamenti, in una visione gradualmente modificata e ampliata sia in termini di contenuti sia di valutazione del tempo (breve, medio, lungo termine). Una consapevolezza del concetto di sostenibilità che oggi è molto diversa da quella da cui si era partiti e che in qualche modo trova riscontro nell’aforisma di Toffler “the illiterate of the future will not be those who cannot read or write, but those who cannot learn, unlearn and relearn”.
Si è consolidato il paradigma universalmente accettato della dimensione globale o planetaria delle sfide e dei problemi che l’umanità deve affrontare per la sopravvivenza del pianeta.
In una realtà in cui però ancora oggi coesistono ancora due dimensioni così contrastanti - ricchezza e povertà estrema - spesso bloccate in un gioco di incomunicabilità e separatezza da sembrare quasi insormontabili.
Si aggiunge a questo una coscienza nuova dell’interdipendenza delle dinamiche in atto, e non solo, ma anche la trasversalità e indivisibilità del sistema dei diritti umani come risposta alle sfide per la costruzione di un mondo veramente egalitario, che tenga conto, e valorizzi, le diversità e le molteplicità di tutti gli abitanti del pianeta, come risorse fondamentali, e al contempo garantisca la sopravvivenza della Terra.
Un paradigma che colloca da una parte i bisogni, gli squilibri esistenti, le ingiustizie e dall’altra la piena presa di coscienza dell’universalità dei diritti umani di tutti indistintamente. A ciò si aggiunge la cognizione della dinamica stretta esistente fra queste due diverse dimensioni cui gli Stati sono chiamati a dare una risposta per la realizzazione di politiche e interventi sostenibili.
Parlare dunque oggi di sostenibilità non può più essere un discorso esclusivamente focalizzato sull’ambiente, sulle risorse naturali o finanziarie, ma richiede un riesame che riconosca anche, ad esempio, l’importanza della dimensione culturale e di quella istituzionale.
Per quanto riguarda la dimensione culturale, viviamo oggi un fenomeno sempre più esteso di grandi spostamenti di popoli tradotti in flussi migratori diversi che impattano sulle differenti società con un inevitabile confronto di culture dissimili. Questi incontri rappresentano momenti delicati di raffronto, di condivisione e, purtroppo a volte, di contrasto di modelli di vita, d’ideologie, di comportamenti differenti, che però sono il risultato di anni di tradizioni e di sedimentazioni che hanno comunque una loro logica e validità. E’ però proprio da questo dibattito che prende spunto una concezione di sostenibilità in evoluzione.
Dal punto di vista istituzionale, oggi lo Stato è chiamato a ricoprire ruoli nuovi e diversi davanti a modelli di vita mutati e a una popolazione che, come ad esempio in Italia, sotto la spinta delle migrazioni sta mutando nel tempo le sue caratteristiche. Ancor più, se osserviamo come il ruolo della salute pubblica, oggi diventato centrale, debba però soddisfare una domanda da parte di un bacino utenza molto diversificato in termini di età, di provenienza e di patologie.
In questa nuova realtà sociale la stessa essenza del concetto di sostenibilità si modifica inevitabilmente e, il momento dello studio della fattibilità degli interventi, che lo Stato intende porre in essere, assume un ruolo fondamentale come momento di analisi ex ante degli interventi previsti, proprio per valutare in termini di futuri possibili le potenziali ricadute e valutarne le eventuali misure correttive onde prevenire effetti indesiderati se non addirittura nocivi.
Se poi si passa al significato e valore della sostenibilità in contesti di estrema povertà e di sviluppo, è necessaria una riflessione più approfondita e articolata. Troppo spesso si fa riferimento alla capacità dei destinatari degli interventi di sviluppo di produrre un qualche tipo di reddito per continuare nel tempo l’azione positiva agita per il tramite dei progetti di cooperazione esogeni alla realtà locale.
Personalmente, non ho mai condiviso questa visione, perché parlare di sostenibilità, spesso intesa essenzialmente finanziaria, in una situazione di estremo bisogno e di mancanza d’infrastrutture in grado di fornire il servizio, è una chiara contraddizione. Laddove avrebbe invece più significato valutare il senso politico dell’intervento come strumento che i destinatari possano far loro, giacché veri titolari dell’intervento stesso. Facendo ciò, l’azione entrerebbe nel patrimonio culturale della stessa comunità quindi trasmessa con un’acquisita presa di coscienza e consapevolezza in grado di modificare in maniera radicale comportamenti e abitudini con un auspicato conseguente miglioramento della qualità della vita.
Indicatori di una concezione della sostenibilità che si è andata evolvendo sono alcuni elementi modificati nel tempo che quindi hanno avuto impatto sullo scenario mondiale come:
Questi, a titolo esemplificativo rapido, sono alcuni esempi degli indicatori comunque ambivalenti. Infatti, pur apportando sicuramente un miglioramento nella qualità della vita, allo stesso tempo, hanno un impatto rilevante sulla composizione della popolazione alterando alcune delle componenti ed i rapporti esistenti, con conseguenze in termini politici, economici e sociali, spesso anche aumentando la forbice fra coloro che hanno e quelli che non hanno.
La sfida rimane. Infatti, sviluppo economico e progresso materiale devono essere da una parte socialmente inclusivi e dall’altra sostenibili in termini non solo ambientali.
Se lo sviluppo è la sommatoria dell’interazione di vari piani: economico, sociale, ambientale, politico e dei processi di governance; la povertà estrema è la risultante multidimensionale di un vasto insieme di elementi che vanno dal reddito, ai servizi sanitari di base, e al tempo libero, all’accesso all’acqua, elettricità, casa, educazione, possibilità di lavoro, ecc.
E’ chiaro allora come davanti a una realtà così articolata e complessa il variare di uno qualsiasi degli elementi comporterà una reazione a catena di effetti e contro effetti.
Solo attraverso una capacità di analisi attenta e consapevole sarà possibile poter intervenire in maniera realmente sostenibile e contribuire alla costruzione di un mondo equilibrato e giusto dove l’iniquità fra una parte veramente ricca a discapito di un’altra sotto la soglia di sopravvivenza possa essere sanata.
Su questo fronte non si può non ricordare il recente richiamo di Papa Francesco che a proposito di EXPO Milano 2015 e la piaga della fame nel mondo, fa espresso riferimento al “paradosso dell’abbondanza”. Evidenziando come oggi alla produzione mondiale di cibo, sufficiente per tutti, non corrisponde un’equa distribuzione a causa di gravi fenomeni tra cui sprechi, scarti e consumi eccessivi di alimenti .
Riflessione questa che ci conduce inevitabilmente a riguardare quel concetto di sostenibilità complesso, articolato e fatto d’innumerevoli piani intersecanti che oggi ci pone davanti ad un nuovo approccio globale alle sfide e agli squilibri esistenti.
A chiusura di questa rapida esposizione è necessario menzionare gli ultimi sviluppi sul come intendere il concetto di sostenibilità introdotti recentemente dall’UNDP con il suo Human Development Report 2014. Sustaining Human Progress: Reducing Vulnerabilities and Building Resilience dove vulnerabilità e resilienza diventano le due parole chiave. Lo sviluppo umano è messo in stretta correlazione con il concetto di vulnerabilità umana e diventa centrale per descrivere il rischio di erosione delle capacità e delle scelte delle persone, e la resilienza come via fondamentale per uscire da tale dinamica.
Vale la pena richiamare anche le parole di qualche tempo fa del Segretario Generale ONU Ban Ki-moon secondo il quale il mondo deve “prestare attenzione particolare ai bisogni e ai diritti dei più vulnerabili ed esclusi” . Parole oggi ribadite con forza anche da Papa Bergoglio in questi ultimi mesi di preparazione all’EXPO.
Ban Ki-moon in realtà intende evidenziare la necessità, per l’Agenda post-2015, di obiettivi nuovi unitamente alla costruzione di società con maggiore resilienza; dove per resilienza s’intende la capacità dello Stato, della comunità e delle istituzioni globali di operare in maniera congiunta per l’empowerment delle persone e per la loro promozione.
In conclusione, di operare scelte politiche che mirino alla riduzione della povertà ma anche che tengano conto del grado di vulnerabilità delle persone ossia al loro rischio di diventare o ancor più di ridiventare povere.
Interessante allora è il nuovo paradigma emergente: non basta eliminare la povertà estrema ma – forse più importante - mettere in atto politiche e meccanismi che mantengano la povertà globale a livello zero!!
E’ chiaro dunque come in questa prospettiva la sostenibilità sia inevitabilmente declinata secondo parametri e orientamenti molto diversi da quelli da cui era partita la speculazione.
Inoltre, ciò diventa ancora più importante in un mondo globalizzato – il Global Village di McLuhan - in cui i rischi di trasmissione e di contagio di fattori negativi sono sempre più rapidi ed estesi.
Sarà allora fondamentale, come giustamente allerta UNDP, poter garantire una partecipazione equa di tutti i paesi, anche i più vulnerabili, in una governance globale in modo che i bisogni dei più deboli non siano marginalizzati e sia piuttosto possibile costruire un equilibrio globale dove iniquità e ingiustizia siano tenute sotto controllo.
Un appello dunque a un’azione collettiva per un mondo più sicuro e un cambio di prospettiva che vede tutte le persone coinvolte direttamente!
Parlando di sostenibilità però è spontaneo domandarci chi sono i destinatari di tale concezione. E’ chiaro fin da subito che si sta parlando di un qualcosa di cui noi oggi siamo solo i fruitori temporanei, anzi i garanti della trasmissione a coloro che verranno: i giovani e le giovani di domani.
Chi meglio di tutti ha compreso e si è mosso con amorevolezza e coraggio in questa direzione dicendo “amate ciò che amano i giovani, affinchè essi amino ciò che amate voi”: Don Bosco.
Non è un caso se oggi, in occasione del Bicentenario della nascita di Don Bosco, ci ritroviamo davanti ad un appuntamento mondiale quale quello di EXPO che vede gli Stati esposti sul fronte del problema della fame e della povertà estrema dove la sostenibilità gioca una parte centrale delle politiche e delle scelte da effettuare, ma proprio per i giovani e le giovani che rappresentano il futuro planetario.
Arriviamo così al termine della nostra riflessione per giungere là dove oggi, come Famiglia Salesiana e il VIS - Implementing Agency, sono insieme impegnati per un appuntamento dove – attraverso l’affermazione dell’idea generatrice di Casa Don Bosco in EXPO Milano 2015 “Educare i giovani, energia per la vita”, strettamente legata all’insegnamento indimenticabile di Don Bosco “i giovani sono la porzione più preziosa e più delicata dell’umana società” – è possibile ritrovare la sintesi di una azione forte, continuata nel tempo e diffusa in oltre 130 paesi nel mondo a favore di quei giovani e di quelle giovani con i quali la sostenibilità ha un impegno e una promessa di giustizia e equità.
Barbara Terenzi
Ufficio Diritti Umani e Advocacy
VIS