23 ottobre 2014 - Stanotte dal Boarding gate n. 8 dell'aeroporto di Nairobi ci ha scritto Don Silvio Roggia, in viaggio verso il Ghana dopo una settimana di incontri in Africa.
Carissimi tutti,
vi scrivo dal boarding gate N 8 dell’areoporto di Nairobi, 3.54 del mattino ora locale. Sto tornando a casa in Ghana dopo una settimana di incontri tra i delegati della formazione delle 14 circoscrizioni salesiane presenti in Africa. Come io vengo dal West Africa, don Isidoro viene da Etiopia-Eritrea, Père Didier dal Congo, Father Michael da Sud Africa-Swaziland-Lesotho, Dom Mauricio dall’Angola, eccetera.
Don Bosco è di casa in 43 Paesi qui in Africa. Quest’anno i novizi salesiani sono 147. La nostra missione è essere vicini a questi giovani che son pronti a regalare la loro vita per diventare come lui per questo continente fatto per la maggioranza di giovani: camminare con loro aiutandoli ad essere davvero Don Bosco made in Africa, che ‘ritorna tra i giovani ancor’.
Ieri pomeriggio ho avuto un’altra prova, fortissima, che questa è una strada che merita percorrere con tutta la dedizione e l’entusiasmo possibile. Fr Simon mi ha portato a fare un giro in centro a Nairobi.
Tre cose mi hanno impressionato (la ‘pressione’ non è finita là in città! E’ ancora tutta con me qui al boarding gate).
Siamo stati in due punti tristemente famosi della capitale del Kenya: il memorial ground dell’attentato all’ambasciata americana che nel 1988 uccise 280 persone, ferendone gravemente più di 4000; poi siamo passati davanti al Westgate Shopping Mall, il grande centro commerciale dove i terroristi di Al Shabab nel Settember 2013 hanno ucciso sparando all’impazzata 67 persone e ferite 175. Due epicentri di violenza che han lasciato una ferita profonda in Kenya. La stragrande maggioranza delle vittime avevano proprio nulla a che vedere nè con l’America nè con le ideologie che avvelenavano la mente di chi si è fatto saltare in aria insieme a una tonnellata di tritolo davanti al cancello dell’ambasciata USA.
Al memorial ground c’è una lapide con una scritta di Martin Luther King: ‘Dalla violenza non nascerà mai vita’.
E’ un suicidio totale: non solo per chi era a bordo del pick up e ha azionato il detonatore... per tutto il sistema che ci sta dietro.
In pochi minuti eravamo fuori dai palazzi del centro. Sotto un ponte, al bordo di un parco, ho visto ragazzi che sniffavano colla da calzolaio, la droga dei poveri. Cento metri più in là Simon mi ha additato una zona tra caseggiati fatiscenti: “Tutto è cominciato lì in mezzo, con qualche lamiera fissata tre le mura di due case”. Il lavoro per i ragazzi di strada di Nairobi è nato così. Erano gli studenti di teologia che nei weekend veninano a fare ‘don Bosco’ tra quei ragazzi così simili a quelli che lui aveva incontrato a Torino da giovane prete.
Giovedì siamo stati a Bosco Boy e a Boys town: le case che sono state aperte per quei ragazzi, dove migliaia sono passati e continuano a migrare dalla strada a una casa-famiglia che li accoglie, e da lì a una attività scolastica regolare, con la possibilità di continuare o nella nostra scuola tecnica di Nairobi, o a Makuyu o a Embu, oppure di scegliere altri percorsi educativi, fino all’università per i più capaci.
Tutto è cominciato negli anni 80 sotto poche lamiere.
Un epicentro di violenza e un epicentro di vangelo. Chi cambia la storia?
Qualche settimana fa ho trovato un commento di papa Benedetto a ‘Beati i miti: erediteranno la terra’. I conquistatori, i violenti se ne vanno così come sono venuti. Chi rimane sono i semplici, gli umili, quelli che arano, seminano e mietono tra gioie e lacrime. Persone umili e normali, anche dal semplice punto di vista storico, tracciano sulla terra una strada molto più lunga e duratura di quella che i violenti lasciano dietro di sè.
Senza esplosioni nè al tritolo nè mediatiche, si semina nel cuore di tanti ragazzi, giorno dopo giorno, a Nairobi come a Lubumbasci o a Freetown. É regno di Dio che germoglia, granello di senapa che diventa albero. Come il Beato Paolo VI ci ha insegnato, non dobbiamo farci impressionare troppo dal rumore dell’albero che cade: è più importante ed è più carico di realtà e di vita lo spettacolo della foresta che cresce.
Stanotte, poco prima di partire, ho ancora dato un’occhiata all’email e ho trovato due granelli di senapa che mi/ci aiutano a ricaricare le batterie della speranza.
Tutte e due da Monrovia, Liberia.
Uno ci è famigliare. Josephat mi ha mandato un altro breve resoconto. La situazione rimane tragica ma la determinazione che lui e il suo Don Bosco & Dominic Savio group hanno per fare ancora di più, cercando ora di prendersi cura degli orfani a cui l’ebola ha portato via la famiglia, è senza dubbio un seme di Vangelo. Come vi avevo già detto ogni settimana/dieci giorni, secondo quanto lui stesso suggerisce, inviamo 500 euro dal fondo che state alimentando, garantendo continuità alla sua missione. Sono semi, piccoli paragonati alla grandezza della sfida, ma sono semi il cui frutto va oltre quanto si può misurare coi numeri.
A Lungi, Sierra Leone, i nostri confratelli hanno convertito una delle scuole secondarie in casa per orfani: quella è ‘foresta che cresce’, tra mille sfide, ma cresce. Sono epicentri che esplodono la vita.
L’altra notizia è di don Nicola, direttore a Matadi, Monrovia, ricevuta stanotte alle 2,30 giusto prima di partire per l’aereoporto.
“Per Ruben andiamo all'ambasciata del Ghana per chiedere quali permessi servono...”. Traduzione: Ruben è il 147° novizio salesiano dell’Africa – Madagascar. E’ Liberiano. Non ha più avuto possibilità di uscire dalla Liberia quando era tempo di unirsi al resto del gruppo per iniziare il suo cammino. Tutti i voli cancellati. Ma in questi giorni il numero delle infezioni a Monrovia è iniziato a diminuire e la compagnia aerea della Costa d’Avorio ha ripreso i collegamenti con la Liberia. Se tutto va bene Ruben potrà unirsi al resto del gruppo il 2 di Novembre. Regagliamogli un’Ave Maria per far sì che una delle risposte alla crisi senza precedenti che si sta attraversando in West Africa sia un ragazzo di Monrovia che è pronto a diventare come Don Bosco e a donare alla sua terra non qualche aiuto d’emergenza, ma tutta la sua vita.
Chiudo qui. Sto sorvolando il Sud Sudan, dopo aver ripreso e interrotto il discorso due o tre volte tra Nairobi, Addis Abeba e ora qui, a 12000 metri d’altezza. Grazie per continuare a credere in questa missione che tutti condividiamo e che senza fare rumore ci sta portando a casa, insieme a miliaia di altre vite, comprese quelle salvate da Josephat grazie a voi. E’ la bellezza del Regno che è già in mezzo a noi. Diamoci sempre una mano a vederla.
Spero di riuscire a spedirvi queste due righe stasera da Sunyani, sotto le stesse stelle: anche quelle brillano in silenzio e ci ricordano che la vita è molto di più di tutti i nostri rumori. Nell’Hail Mary che ci regaleremo a vicenda a quell’ora guardando lassù facciamo insieme una dedica per Jopsephat e per Ruben. Grazie
Ciao Silvio