21 ottobre 2014 - Abbiamo chiesto a Marco di continuare il suo racconto sulla esperienza estiva in Etiopia. Andare in profondità di quelle tre settimane. Ecco la risposta.
Parlare di ciò che abbiamo fatto a Soddo non è così difficile, più arduo è descrivere cosa abbiamo provato interiormente queste tre settimane. L’impatto con l’Etiopia non è stato traumatico, sicuramente abbiamo trovato un mondo diverso dal nostro, ma siamo stati accolti nel migliore dei modi.
Si potrebbero scrivere libri interi sul tratto di strada percorso da Addis Ababa a Soddo, la prima fotografia dell’Etiopia che abbiamo ammirato in questo splendido viaggio. Un popolo in cammino, sempre al lavoro, che vive un forte legame con la terra, legame che noi abbiamo perso. Il lavoro di tutti è indispensabile alla sopravvivenza e ciò mi ha fatto riflettere su quanto è diverso il nostro mondo del lavoro in Italia, dove spesso la vita professionale è così separata dalla vita personale, senza influire in maniera diretta sulla nostra sussistenza, che ha bisogno di tante mediazioni.
Le abitazioni che abbiamo visto sono di vario tipo, quelle più comuni sono fatte di fango e materiali vari, con il tetto in lamiera, senza pavimento. Gli animali, risorsa preziosissima per le famiglie, dormono nelle case con le persone, solitamente in ambienti separati, perché di notte si aggirano le iene, alla ricerca di prede da attaccare.
Un altro capitolo interessante riguarda la strada e le sue regole; nell’Etiopia rurale la strada è di tutti: animali, carretti, pedoni, automobili e altri mezzi di trasporto…
Molte persone camminano con carichi pesanti per strade lunghissime, scene che difficilmente si vedono nelle nostre città. La situazione igienica è precaria: in pochi dispongono di acqua corrente, e potabile, in casa, sono diffuse malattie che impediscono di arrivare ad un’età avanzata ( che non viene raggiunta anche per il lavoro duro, che danneggia e prova molto il fisico delle persone) e il cibo non è correttamente pulito e lavato.
Noi non siamo stati molto, ma siamo riusciti ad analizzare, nel nostro piccolo, questa società profondamente diversa dalla nostra (diversa e non migliore né peggiore), che può essere compresa solo vivendoci.
Ma la nostra missione non è stata assolutamente quella di studiare il posto, noi siamo partiti per metterci al servizio.
In oratorio abbiamo cercato di dare tutti noi stessi per i ragazzi, per farli divertire secondo uno stile educativo ben preciso. La sera andavamo a letto molto stanchi, ma felici perché in ognuno di quei ragazzi avevamo visto lo sguardo di Gesù che ci chiamava perché aveva bisogno di noi.
Siamo stati a contatto con la povertà vera, di chi, a fine giornata, dopo la fatica del lavoro, torna a casa e mangia quel che è riuscito a trovare, con il rischio di giornate sfortunate in cui non c’è nulla, quindi non si mangia…! Abbiamo visto bambini giocare nel fango, indossare gli stessi abiti per settimane, abiti spesso stracciati, e magari non avere neanche le scarpe…eppure abbiamo visto la gioia negli sguardi di quei ragazzi! Nel nostro mondo frenetico, purtroppo, è difficile accorgersi della bellezza dei piccoli gesti quotidiani che rendono migliore la vita!
Sorrisi, abbracci, manifestazioni semplici di affetto, regali improvvisati, richieste di aiuto, voglia di giocare insieme, curiosità di conoscersi…questi ragazzi ci hanno scaldato il cuore regalandoci settimane piene di gioia e lontane dai futili problemi della nostra quotidianità.
Rimanevamo sorpresi ogni volta che i ragazzi ci portavano dei regali, nascondendoli per non farli vedere agli altri…gli stessi ragazzi che avevano poco o nulla e che magari erano i primi a voler possedere qualcosa di nostro, anche solo un fazzoletto…
Non pensate che sia stato tutto rose e fiori, i bambini in tutto il mondo sono bambini, con le loro fragilità e le loro imperfezioni. Non è stato per niente facile badare a centinaia di ragazzi urlanti, sempre pronti a voler correre e a fare cose nuove, spesso con litigi tra di loro e mancanza di ascolto verso i più grandi.
Ma posso dire con certezza di aver ricevuto da quei ragazzi il “centuplo” di cui si parla nel Vangelo.
Posso dire che è vero che dando si riceve, quest’esperienza è servita più a noi missionari per capire che nella vita non possiamo chiudere gli occhi e tapparci le orecchie, ignorando il grido di dolore di chi ha bisogno, con la scusa di essere occupati, di dover fare altro, di non avere tempo….
La felicità non si misura dal conto in banca, dalla casa o dalla carriera, la vera felicità è saper amare gli altri e trovare il proprio posto nel mondo, qualsiasi esso sia, in qualsiasi luogo o situazione, dove poter essere felici con gli altri e per gli altri.
Grazie Soddo!