26 novembre 2012 - La situazione a Goma è stata abbastanza calma questo fine settimana, dopo giorni difficili a seguito degli scontri di giovedi scorso tra M23 e FARDC e loro alleati (il gruppo Nyatura) a Sake, a 30 Km nord-ovest di Goma. Ecco l'ultimo messaggio di Padre Piero Gavioli, direttore del Centro Don Bosco Ngangi.
Gli sfollati nel Centro Salesiano Don Bosco Ngangi - dove lavorano i volontari del VIS a fianco dei Salesiani- sono aumentati, all’ultimo censimento c'erano 2056 "famiglie", con 6821 bambini. Abbiamo cercato di sistemarli un po’ meglio nella grande sala polivalente e nelle aule. Abbiamo avuto promesse di aiuto anche da altre organizzazioni o ong, ma in pratica, almeno nei primi giorni, è il Centro Don Bosco che ha fornito il cibo: abbiamo comprato noi farina, fagioli, zucchero e latte per dare qualcosa da mangiare a bambini, mamme incinte o che allattano, persone con disabilità, persone anziane senza sostegno. Nei giorni scorsi il PAM ha accettato le liste dell’ultimo censimento e ha distribuito ad ogni “famiglia” una razione secca per tre giorni (farina di granoturco, fagioli, olio e sale). Il NRC (Comitato Norvegese per i Rifugiati) ha distribuito una stecca di sapone e un bidoncino di plastica pieghevole per l’acqua. La distribuzione di cibo, da un lato crea un clima più pacifico nel Centro; dall’altro invita gli sfollati a riprendere il cammino del ritorno. Lunedì o martedì, chi è pronto a ritornare potrebbe trovare un camion che li riporterà a casa e un telone per ripararsi dalla pioggia.
I tre volontari del VIS lavorano su tutti i fronti: per l’assistenza sanitaria, l’installazione di cisterne per l’acqua, la distribuzione della pappina ai bambini... Ci sono un’ottantina di collaboratori congolesi: insegnanti, assistenti sociali, educatori... Grazie alla loro esperienza e alla loro generosità, riusciamo a gestire in maniera abbastanza soddisfacente questa massa di varie migliaia di persone che hanno poco o niente.
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L'altra notte è morto un bambino di 4 mesi, arrivato al Centro da due giorni, già ammalato. Sabato pomeriggio è nato il settimo bambino, una femmina. La morte e la vita sono presenti: la festa di Cristo Re celebrato ieri (messa all’aria aperta, dato che la sala polivalente è occupata dagli sfollati) ci assicura che la vita vincerà.
In città l’invito a riprendere la vita ordinaria incontra vari ostacoli. Le banche sono chiuse e lo resteranno, dicono, per almeno tre settimane. Le scuole dovrebbero riaprire lunedì prossimo, ma troppe aule sono ancora occupate dagli sfollati. Questi esitano ad andarsene, aspettano notizie rassicuranti. Molte cose dipendono dall’esito della conferenza di Kampala. Se c’è un accordo di pace e l’M23 si ritira da Goma, gli sfollati potrebbero ritornare a casa loro. Se invece non si trova un compromesso, ci aspettiamo una guerra lunga e micidiale per i civili.
A livello internazionale, bisogna far pressione sui governi perché si arrivi ad un accordo. La popolazione del Nord Kivu è vittima di guerre da quasi 20 anni. I conflitti sono presentati facilmente come se fossero lotte tribali: l’opposizone etnica, che può essere reale, nasconde il motivo fondamentale che è la lotta per il possesso delle ricchezze minerarie. E’ da questa regione che viene estratto l’80% del coltan, indispensabile per i telefonini e per altro. C’e anche dell’oro, e ultimamente sono stati scoperti giacimenti di petrolio. Queste ricchezze del sottosuolo fanno gola a tanti, e sono la ragione principale delle guerre. L’accordo di pace dovrà includere norme che mettano fine allo sfruttamento illegale dei minerali.