4 gennaio 2011 - Il nuovo anno dovrebbe vedere la nascita del 54° Stato africano, destinato a divenire il 193° paese a sedere nell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Il 9 gennaio, più di tre milioni e mezzo di sud-sudanesi andranno alle urne per votare sull’autodeterminazione delle regioni meridionali. Il referendum è una parte importante dell'Accordo globale di pace firmato nel gennaio 2005 dal governo di Khartoum e dall'Esercito/Movimento popolare del Sud Sudan (Spla/m).
Dopo 40 anni di lotta con due guerre civili che solamente negli ultimi 22 anni hanno causato più di due milioni di morti e due milioni e mezzo di profughi, nel cuore dell’Africa dovrebbe nascere un nuovo Stato. Questo avvenimento porterà con sé tanti sogni ma anche tante paure. Si pensa già al post-referendum. I nodi da sciogliere sono tanti. Quale sistema di governo? Che forma di repubblica? Che tipo di economia? Che modello di sistema politico? E poi che tipo di relazioni con il Nord? In prospettiva, anche, come dividere gli introiti del petrolio?
Per gli economisti diversificare è la chiave dello sviluppo per il Sud Sudan. Il nuovo paese non può dipendere solo dal greggio. Le regioni meridionali hanno un potenziale agricolo enorme, che potrebbe catalizzare e promuovere grande opportunità agro-industriali; la sua posizione al centro dell’Africa faciliterebbe scambi e transito di merci e beni con paesi limitrofi.
Politicamente la sfida maggiore per il Sud Sudan è mettere d’accordo i vari gruppi etnici e i vari signori della guerra. Trasformare gente che da anni ha indossato la divisa kaki in politici non sarà un’impresa facile. Un altro interrogativo risiede proprio nell’Movimento di liberazione del popolo sudanese, che è stato il principale interlocutore sia all’interno che all’esterno della politica sud-sudanese. Un potere così centralizzato permetterebbe il sorgere di altri partiti e il formarsi di un’opposizione capace di mettere in discussione un’egemonia consolidata? Nei prossimi mesi le priorità del governo di Salva Kiir Mayardit saranno la denominazione del paese, la creazione di un’assemblea costituente, i negoziati con il nord sulla spinosa questioni della spartizione delle risorse, la regolamentazione degli spostamenti e della cittadinanza delle persone. Omar Hassan al Bashir, il presidente del Sudan, dovrà invece affrontare la questione della guerra in Darfur, l’insurrezione nel Kordofan e una serie di insidie all’interno del suo stesso partito. Cruciale sarà poi la gestione dei rapporti con il nuovo governo del Sud Sudan e la soluzione del contenzioso sulla regione di Abyei, ricca di giacimenti petroliferi, dove si sarebbe dovuto svolgere un referendum per l’autodeterminazione per decidere se andare con il sud o restare con il nord.
Il VIS è presente in Sudan da circa 6 anni e opera nel nord, a Khartoum e le sue aree limitrofe, a El Obeid, ma anche nel sud, nell'area di Tonj e Wau. Si occupa principalemte di educazione dei giovani, formazione primaria dei bambini, profughi, ex-bambini soldato e sostegno alle donne.
Priorità della Ong nel futuro, compatibilmente con l'evoluzione politica post-referendaria, sarà il consolidamento degli interventi di formazione professionale a Khartoum e soprattutto l'avvio delle azioni di sviluppo nell'area di Juba, capitale del nascente Stato del sud, con la realizzazione del nuovo Centro Scolastico e Formativo Don Bosco nella zona di Gumbo; quindi essere vicino alla gente del Sud Sudan che guarda la comunità internazionale nella speranza che questa vigili e li accompagni nel momento di transizione che si avvicina.
(Fonte:Misna)