Lo tsunami della crisi economica si sta abbattendo sui paesi che meno hanno contribuito a scatenarla. A questo ritmo, l'obiettivo di sradicare la fame e la povertà entro il 2015 rischia di rimanere un miraggio per la maggior parte dei paesi nel mondo". Lo denuncia la rete internazionale Social Watch nel rapporto “People First” (in inglese in.pdf) presentato ieri a Roma dalla Coalizione Italiana. A livello mondiale, emerge che nel 18% dei paesi è in atto una regressione in alcuni casi accelerata.
“Studiando l'impatto sociale della crisi a livello internazionale, emerge che a pagarne le conseguenze più dure sono i paesi impoveriti e le persone più vulnerabili, molte delle quali sono nuovi poveri” - afferma Jason Nardi, portavoce del Social Watch Italia. “Fra le prime vittime del crollo dei mercati finanziari vi sono i più poveri che, spendendo dal 50 all’80% del loro reddito in beni alimentari, risentono maggiormente dell'aumento del costo delle derrate agricole. Ma anche le donne, spesso impiegate in lavori precari o a cottimo, con minori salari e più bassi livelli di tutela sociale”.
"L'Italia si sta rapidamente impoverendo. La situazione del Paese è andata peggiorando sotto molti aspetti che riguardano i diritti fondamentali e quelli sociali economici e culturali, stando ai rilievi e alle analisi fatte dai principali centri di ricerca e statistica e dalle organizzazioni della società civile" - è scritto nel rapporto, che cita dati Istat secondo cui il 13,6% della popolazione italiana si trova in condizioni di "povertà relativa", e il tasso di disoccupazione è balzato al 7,4% nel secondo trimestre 2009. Nel solo 2008, poi, dice ancora lo studio, il valore complessivo della Borsa italiana è sceso del 49%.
Secondo il rapporto, la situazione non è solo il prodotto "della crisi finanziaria globale (i cui effetti reali si cominciano a registrare soltanto un anno dopo, mentre gran parte delle rilevazioni sono antecedenti), ma di politiche inadeguate, deboli e in molti casi discriminatorie" (pg. 106-7). Utilizzando dati Eurostat e del Fondo Monetario Internazionale, il rapporto indica che a fronte di un calo del Prodotto interno lordo del 6% tra il 2008 e il 2009, l'Italia ha impiegato solo lo 0,8% dello stesso Pil "per contrastare la crisi" a fronte del 3,7% della Germania (con un -5,9% del Pil) o dell'1,6% della Francia (-2,6%).
Per la prima volta aggiunge il rapporto Social Watch, "la questione dell'immigrazione si scontra con le difficoltà occupazionali. Molti sono infatti i lavoratori extracomunitari che stanno perdendo il lavoro a causa della crisi". Il rapporto cita a esempio il caso del Veneto, dove il 24% dei disoccupati a gennaio 2009 erano extracomunitari (dato dell'associazione artigianale Cgia). Quello del razzismo è uno dei "punti deboli" denunciati dal rapporto, che ricorda le raccomandazioni già espresse dal Commissario
per i diritti umani del Consiglio d'Europa all'Italia e critica i "pacchetti sicurezza" varati dal governo tra l'estate 2008 e 2009.
Tramite l’Indice delle Capacità di Base (BCI - in .pdf), il rapporto analizza quindi lo stato di salute e il livello dell’istruzione elementare di ciascun paese. I risultati sono preoccupanti: al 2009, quasi la metà dei paesi analizzati (42,1%) ha un valore dell'Indice BCI basso, molto basso o critico. La maggioranza della popolazione mondiale vive in paesi in cui i principali indicatori sociali sono immobili o progrediscono troppo lentamente per raggiungere un livello di vita accettabile nel prossimo decennio. “Le cifre rivelano una situazione di disuguaglianza drammatica in tutto il mondo, sebbene i dati elaborati si riferiscano a un periodo in cui la crisi economica doveva ancora produrre i suoi effetti più profondi” - precisa Jason Nardi. “La crisi finanziaria offre un'opportunità storica per ripensare i processi decisionali in politica economica attraverso un approccio basato sui diritti umani”.
Il BCI (in .pdf) è un indice alternativo che definisce la povertà non in termini di reddito, ma in base alla possibilità di godere di alcuni diritti fondamentali. In particolare, l’indice è costruito attraverso l'analisi di alcuni fattori determinanti per lo sviluppo di un paese: la percentuale di bambini che arriva alla quinta elementare, la sopravvivenza fino ai
cinque anni di età e la percentuale di nascite assistite da personale qualificato. A livello mondiale, emerge che nel 18% dei paesi è in atto una regressione in alcuni casi accelerata.
Lo scenario desta ancor più preoccupazione se si considera che solo Danimarca, Norvegia, Svezia, Olanda e Lussemburgo hanno rispettato gli obiettivi delle Nazioni Unite, destinando almeno lo 0,7% del Pil all’Aiuto Pubblico allo Sviluppo (Aps). Nonostante le ripetute promesse del nostro governo, si prevede che l'Aiuto Pubblico allo Sviluppo in Italia subirà un drammatico taglio, scendendo dallo 0,2% del PIL a meno dello 0,17%. Al pari della Grecia e di poco al di sopra della Repubblica Ceca, l'Italia si
ritrova così agli ultimi posti tra i paesi industrializzati.
Le differenze tra uomo e donna non si riducono, mentre cresce la distanza tra i paesi più virtuosi e quelli in cui la discriminazione è maggiore. Lo rivela l'Indice di Parità di Genere (GEI - in pdf), sviluppato e calcolato per il 2009 dal Social Watch. Il GEI analizza la disparità tra i sessi, classificando 157 paesi in una scala in cui 100 indica la completa
uguaglianza tra donne e uomini. I valori più alti nell'Indice di Parità di Genere sono attribuiti alla Svezia (88 punti). Seguono Finlandia e Rwanda - entrambi con 84 punti nonostante l'enorme differenza in termini di ricchezza tra i due paesi. Poco al di sotto si classificano Norvegia (83), Bahamas (79), Danimarca (79) e Germania (78). L’indice dimostra quindi che un alto livello di reddito non è sinonimo di maggiore uguaglianza e che anche i paesi poveri possono raggiungere livelli di parità molto elevati, sebbene
uomini e donne vivano in condizioni non facili.
In questa speciale classifica, l’Italia scende rispetto al 2008 dal 70° al 72° posto, con un valore di 64 punti, collocandosi subito dopo paesi come Grecia, Slovenia, Cipro e Repubblica Dominicana (66). Confrontando il dato dell’Italia con la media europea emerge il ritardo del nostro paese nel raggiungere un’effettiva uguaglianza di genere. Nelle prime 50 posizioni dell’indice sono compresi i due terzi dei paesi dell’Unione
Europea, ad esclusione di paesi come Irlanda, Slovacchia, Repubblica Ceca, Grecia e Italia.
“L’indice della parità di genere rivela se una società sta evolvendo verso una maggiore equità di genere o rimane ferma. La mancata riduzione del divario nei diritti tra uomo e donna conferma la miopia dei governi. La distinzione tra paesi del cosiddetto Sud del mondo e quelli del Nord sviluppato è sempre più sfumata” - afferma Nardi. “La promozione della parità tra i sessi è uno degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio: i
nostri dati dimostrano che quell’obiettivo invece di avvicinarsi si sta allontanando”.
La Coalizione italiana del Social Watch è composta dalle Acli, Arci, Campagna per la Riforma della Banca Mondiale, Fondazione Cultura Responsabilità Etica, Lunaria, Mani Tese, Sbilanciamoci!, Ucodep, Wwf. [GB]
(Fonte Unimondo)