Il Brasile produce e continuerà a produrre bombe a grappolo. Il messaggio che il governo Lula ha fatto arrivare alla Conferenza latinoamericana sulle cluster bombs era chiaro, nonostante diciassette paesi del continente, organizzazioni della società civile e rappresentanti di Norvegia e Stati Uniti, si siano riuniti a San José, in Costa Rica, per ribadire l'inumanità delle bombe anti-persona.
Il Paese sudamericano è convinto che temi del genere siano da trattare esclusivamente nei summit ufficiali, dove a discutere di disarmo e sicurezza sono i grandi attori dello scacchiere internazionale. Non riconoscendo dunque la legittimità dell'incontro, si è sentito autorizzato a non mettere in discussione la propria posizione, fondata su una questione di base: i brasiliani non pensano che sia l'arma il problema, bensì il modo in cui viene impiegata, ovvero contro la popolazione civile.
I promotori dell'iniziativa, invece, vogliono arrivare a un trattato che ne proibisca la produzione e l'uso a partire dal prossimo anno. Per avvalorare la loro tesi, si appellano al Trattato contro le mine antiuomo, arma che provoca effetti simili alle cluster bombs, e sottoscritto da alcuni dei più grandi paesi del mondo, che ne hanno bandito sia l’utilizzo che la produzione.
Dopo l’incontro tenutosi lo scorso febbraio ad Oslo, in cui 46 paesi e organizzazioni non governative si sono riunite per discutere la possibilità di promuovere un trattato internazionale che proibisca la produzione, l'uso, l'immagazzinamento e il trasferimento di queste bombe, buona parte dell'America latina si è convertita in sostenitrice della campagna. Fatta eccezione per il Brasile, che è accorso a San José semplicemente per ribadire la propria posizione, continuando a considerare l’arma molto buona e in più economicamente conveniente.
Fonte: peace reporter