AMBIENTE (4 gennaio) - I gas serra potrebbero non essere un problema. La buona notizia sta iniziando a fare il giro del mondo: dall’America al Canada, dalla Gran Bretagna all'Olanda, dalla Danimarca alla Norvegia.
Abbattere le emissioni mefitiche della CO2 con cui avveleniamo l'aria e i nostri polmoni attraverso la combustione di combustibili fossili potrebbe diventare realtà.
Il vaso di Pandora si chiamerebbe Ccs, "carbon capture and storage": cattura e stoccaggio dell'anidride carbonica.
Trattenuta da un apparato di filtri, la CO2 viene trasformata con le tecniche più evolute in materia liquida e quindi trasportata nei tubi di una pipe-line, simile a un metanodotto, fino a una piccola centrale costruita in superficie. Con i primi tentativi si è provato a disperdere l'anidride carbonica in mare, al largo, verificando però che questo provocava un'alterazione dell'acqua, vale a dire un'eccessiva mineralizzazione. Per ovviare a questa alterazione delle acque si è così pensato di comprimerla e iniettarla sotto terra, anche oltre i mille metri di profondità, dove la CO2 si autosigilla trasformandosi nel tempo in minerali: per lo più carbonati, cioè pietra, roccia.
Uno studio di fattibilità è stato già realizzato anche in Italia. Da questo studio è emerso che per lo stoccaggio nel territorio italiano, si potrebbero utilizzare una parte dei circa 6.500 pozzi abbandonati che si trovano nel sottosuolo. Gli esperti dell'Istituto nazionale di Geologia assicurano comunque che non c'è alcun rischio sismico rilevante: non solo perché giacimenti di CO2 esistono già in natura, come per esempio a cavallo tra l'Irpinia e la Basilicata, ma anche per il fatto che proprio in quella zona all'epoca del terremoto non furono registrate né fughe di gas consistenti né esalazioni rischiose per la salute.
Grande scetticismo sembra arrivare da chi teme che questa “grande idea” sia, in realtà, solo uno stratagemma ideato per spingere la popolazione a consumare risorse più a cuor leggero sereni del fatto che l’antidoto è già dietro l’angolo.
Questa operazione ovviamente ha un costo: ogni sito costa all'incirca 500 milioni di euro e occorre grosso modo un anno per costruirlo.
Entro il 2012, secondo l'impegno sottoscritto nel Protocollo di Kyoto, bisogna ridurre del 5% le emissioni mondiali di gas a effetto serra rispetto ai valori che si registravano nel 1990. Ma, per evitare un aumento di temperatura superiore ai 2 gradi centigradi che altererebbe il clima in modo irreversibile, la stessa Comunità europea raccomanda una riduzione del 70% dai livelli attuali entro la fine del secolo.
La domanda a questo punto potrebbe sorgere spontanea: lo apriamo questo vaso di Pandora o lo mettiamo da parte in attesa di un nuovo miraggio?
Debora Sanguinato