4 novembre 2013 - Ennesima tragedia nel Mali: due giornalisti francesi di Radio France Internationale sono stati rapiti e assassinati il 2 novembre scorso nella città di Kidal, situata nel Nord del paese. Il segretario generale di Reporter senza Frontiere, Christophe Deloire, si dice profondamente indignato e disgustato dall’esecuzione sommaria e a sangue freddo dei due inviati, Ghislain Dupont e Claude Verlon. Esecuzione successiva a un’intervista che i due avevano da poco concluso nella città maliana.
I cadaveri dei due reporter sono stati rinvenuti a circa 10 km dal centro della città. “La loro sommaria esecuzione è vile e indicibile” afferma Deloire “condanniamo il duplice delitto che tristemente sottolinea come la mancanza di leggi ancora prevalga nel nord del Mali”. Il loro destino non può che riportare alla mente la tragica sorte subita dal giornalista del Wall Street Journal Daniel Pearl, decapitato dai suoi rapitori in Pakistan nel 2002 e del nostro connazionale, il giornalista Enzo Baldoni, rapito e ucciso in Iraq nel 2004.
Il duplice omicidio del Mali è l’ennesimo nefasto esempio di una generale escalation di violenza che imperversa nelle zone del mondo interessate dai conflitti nel quale purtroppo molti reporter spesso sono costretti a mettere a repentaglio la propria esistenza pur di garantire un’informazione difficilmente fruibile altrimenti.
L’esecuzione di Dupont e Verlon fa salire a 45 il bilancio totale dei reporter assassinati nelle zone di guerra nel 2013. Nel 2012 le vittime furono 88. Da evidenziare il caso particolare del Mali, precipitato in un anno di 74 posti nel press freedom index (indice sulla libertà di stampa), rapporto stilato da Reporter sans frontières. L’escalation di esecuzioni è cominciata nel 2011, a seguito dello scoppio delle primavere arabe. A dominare il proscenio delle esecuzioni è la Siria, dove dal marzo del 2011 a settembre scorso sono ben 84 i giornalisti ad aver trovato la morte, 12 risultano ancora nella lista dei dispersi. Questo è quanto si apprende dal rapporto della commissione di inchiesta ONU condotta dal brasiliano Pinheiro.
Quello del reporter di frontiera si conferma un mestiere estremo, dove il rischio di incappare nella tragedia è sempre dietro l’angolo: le situazioni di pericolo sono all’ordine del giorno. Si vivono i conflitti per raccontarli, si va dove le telecamere tradizionali normalmente non arrivano. Si va consci del rischio di trovare l’eterno oblio, spinti dalla vocazione di informare, sempre e ad ogni costo.
Francesco Loddo
Studente Scuola di Giornalismo Internazionale della Fondazione Basso
in tirocinio nel settore Comunicazione del VIS