22 agosto 2016 - Gianpaolo, operatore VIS in Senegal, a Saint-Louis ha incontrato Mor, un pescatore sopravvissuto alla furia del mare. Mor ha raccontato a Gianpaolo la sua storia, una storia di dolore, paura e speranze tradite.
" Saint-Louis, incantevole vecchia città coloniale francese, patrimonio dell’UNESCO. Decadente, fragile, investita da una luce irreale, bianca, fredda, che plasma e sgretola tutto allo stesso tempo. Miriadi di uccelli lacustri dividono lo spazio con uomini e montoni, in un surreale quadro in stile Dalì. Ma il colore che permea l’intera città è il giallo del fango del fiume Senegal, che rende ocra le onde che carezzano delicatamente la piccola isola. E da quel fango è emerso Mor, un vecchio pescatore baifal, che ha raccontato a noi volontari una storia, la sua storia; ha preteso come pegno le nostre lacrime, ora assimilate al fango ed al limo del fiume, recluse nel fondo dell’oceano. Quello stesso oceano che ha preso molte vite care a Mor
Il tratto di Oceano che va dalle coste del Sahara Occidentale, alla Mauritania, fino al Senegal, è uno dei più pescosi al mondo, e purtroppo i grossi consumatori di pesce, come i russi, i giapponesi ed i coreani, pescano regolarmente nelle acque internazionali: si tratta di una pesca d’altura pesante e non sostenibile. Si dice che a volte sconfinino anche in acque senegalesi. Inoltre, il governo senegalese ha concesso delle licenze di pesca proprio per questi grandi pescherecci, che spesso utilizzano le rete a strascico e, ci dice Mor, anche l’esplosivo.
Questa pesca intensiva ha arrecato enormi danni ai pescatori di Saint Louis, che utilizzano solo reti e lenze, e le cui piroghe non sono adatte alla pesca di altura. Per questo motivo, i pescatori senegalesi hanno iniziato a non pescare più, e si sono dovuti dirigere sempre più a nord, verso la Mauritania; li hanno dovuto acquistare le licenze di pesca presso le autorità locali ma, nonostante questo, c’è sempre il rischio di incappare in pattuglie della guardia costiera, che per qualunque pretesto o irregolarità possono sequestrare la piroga stessa.
In questo clima di incertezza e difficoltà, Mor pensa di emigrare, di andare in Spagna per trovare un lavoro e sostentare la sua famiglia. Sua moglie ormai fa credito alle boutique che vendono i generi alimentari (scatolame, pane, latte in polvere, uova...), dicendo sempre che fra qualche giorno suo marito Mor tornerà dalla battuta di pesca e potrà pagare i debiti, ma ciò accade sempre meno.
Quindi Mor decide di affrontare la situazione e di partire con una piroga per le Isole Canarie, dove forse potrà trovare un lavoro in Europa. La moglie vende tutti i suoi gioielli per comprare il posto del marito sulla piroga, 500.000 CFA, circa 700 euro.
Le piroghe dei pescatori di Saint-Louis, non sono altro che grossi scafi lunghi 10/12 metri, profondi 1,5 m, niente vele, niente remi, solo un motore fuoribordo di 8/10 cavalli come propulsore: una barca inadatta ad affrontare l’Oceano Atlantico, che ha una forza che spaventa. Anche quando lo guardi dalle spiagge dell’Africa Occidentale, sicuro sulla sabbia, quelle onde ti stordiscono solo a vederle infrangersi e sconvolgere la costa.
Hanno previsto una settimana di viaggio in mare per giungere alle Canarie. Le provviste, tra cui sacchi di riso, bocce d’olio ed acqua, caffè e zucchero, dureranno per sette giorni. Sono in tutto circa 80 persone, ma sulla piroga non sale colui che ha organizzato il viaggio. I mercanti di morte si guardano bene dal salire sulle barche, che loro stessi predispongo; intascano i soldi e si godono il tepore del sole di Saint-Louis, senza alcun rimorso.
Scelgono 5 capitani per condurre la piroga, tra cui Mor, che conosce bene l’Oceano, essendo un pescatore. Si parte di notte, per evitare controlli da parte delle autorità, e ci si spinge verso il mare aperto, affidandosi ad un GPS, ma niente bussole; d’altronde anche Mor non è un navigatore, ma un pescatore della costa, e lì si naviga a vista, nessuno sa fare il punto su una carta, quindi il GPS è più prezioso di ogni altra cosa sulla piroga, basta perderlo, basta romperlo e ci si può ritrovare a seguire una rotta sbagliata, una rotta che porterebbe la piroga lontano dalle Isole Canarie, in alto mare, in mezzo all’Atlantico, verso il Brasile, verso morte certa.
La prima difficoltà arriva quando la piroga di Mor incrocia fra le onde i detriti di un'altra piroga: sono i resti di un’altra imbarcazione, riconoscono i bagagli dispersi in mare, sono quelli di amici ed altri pescatori di Saint Louis, conoscono le loro famiglie, le persone care che li attendono di ritorno, e purtroppo non torneranno più, l’Oceano ha esatto le loro vite.
La tristezza cala nei loro cuori, ed anche la paura, la paura di fare la stessa fine. Il viaggio non è affatto facile, il sole incide lunghe rughe sulla pelle arsa, le onde non cullano, ma colpiscono con vigore. Passata una settimana i viveri scarseggiano, avevano previsto una settimana di viaggio, ma si erano sbagliati, e la piroga inizia ad assomigliare ad una zattera della medusa. Sulla piroga ci sono due fratelli, è uno di loro il primo a morire di stenti. L’altro fratello, piange e si dispera, non crede che sia morto, gli prende la testa e l’adagia sulle proprie ginocchia, carezzandone il viso e lavandolo con le sue lacrime. Impedisce per due giorni agli altri di gettarne il corpo in mare, lui è sicuro, Mamadou si sveglierà. Ma non accade ed il corpo inizia a decomporsi in fretta, soprattutto a causa del sole battente. Alla fine perde le speranze e concede di gettare a mare il corpo, dopo aver pregato tutti assieme per la sua anima, affidandola ad Allah.
Ma per due giorni il corpo è stato sulla barca, in decomposizione e ciò ha prodotto un’epidemia sulla piroga; le persone iniziano a sentirsi male, ad avere attacchi di dissenteria e conati di vomito, alcuni non ce la fanno e si lasciano morire. Per ogni morto si officia una piccola cerimonia religiosa e, avvolto in qualche telo di fortuna, si getta il corpo in mare.
Il fratello di Mamadou è afflitto da quello che è accaduto e passa il più del tempo in silenzio o dormendo. Un giorno lo scuotono delicatamente: dormivava con il viso nascosto dalle braccia, poggiandosi sulle ginocchia, ma non si sveglia, cade sul fondo della piroga senza un sussulto.
Le provviste scarseggiano, finisce l’acqua ed i naufraghi sono costretti a bere la propria urina ed a cucinare il poco riso rimasto con l’acqua di mare che, cucinato così, pare carbone ardente e una volta ingerito brucia e scortica la gola di Mor e compagni.
Col passare del tempo le forze vengono meno e non hanno neanche più l’energia per officiare i funerali. I morti condividono con i vivi gli stessi spazi della piroga.
Le onde dell’Oceano non sono mai delicate, ed una di queste stacca di netto il piccolo motore fuoribordo. A quel punto per Mor e gli altri sopravvissuti non c’è più nulla da fare, sono rassegnati, aspettano l’ultima onda che li porti tutti in fondo al ventre dell’Atlantico.
Mor si interrompe all'improvviso. Il suo racconto, che ci ha troncato il fiato, si ferma all’istante, e lui inizia a piangere, si copre gli occhi con la mano e ci chiede scusa per l’emozione, il dolore. Noi non abbiamo parole. Si resta sempre disarmati di fronte a ciò: sentire con le tue orecchie l’orrore e rimanere nudi senza difese.
“Aspettavo l’ultima onda, la vedevo, alta, maestosa, ci avrebbe portato giù nel gelido ventre dell’Oceano. Aspettavo l’ultima onda” racconta Mor.
Le onde piano piano avevano portato via tutto ad i naufraghi della piroga stavano aspettando l’ultima onda che ponesse fine a questa tortura. Ma non fu così: un elicottero della croce rossa spagnola li individuò e li salvò. Erano talmente deperiti, che non potevano neppure bere l’acqua. Dovettero nutrirli con una flebo. Dopodichè furono tutti rimpatriati in Senegal, con un volo diretto all’aereoporto di Saint Louis.
Mor ci accompagna per le strade di Saint Louis, ci fa da guida turistica, dice che non riprenderà mai più una piroga per emigrare in Spagna, vuole morire in Senegal, la sua terra, anche se deve morire di fame, l’Atlantico non avrà il suo corpo. Al tramonto ci salutiamo, gli offriamo dei soldi per comprare un mezzo sacco di riso. Nulla in confronto al dolore che ha provato e prova, nel vedere la sua terra ed il suo mare depauperati, nel provare ad emigrare rischiando la vita, e ritornare vivendo senza più speranze.
Ma una cosa che questo mondo non gli toglierà mai è il sorriso. Quando gli racconti di cosa facciamo noi per evitare la migrazione irregolare e donare una piccola possibilità di lavorare e vivere in Africa, lui inizia a ridere. Ride soprattutto della parola migration.
Mor si congeda da noi, ringraziandoci per il mezzo sacco di riso e dicendoci: “ Oggi mi siete caduti dal cielo, grazie”.