02 febbraio 2017 - Continuano nel mondo musulmano le proteste contro il bando nei confronti dei cittadini di 7 paesi di cittadinanza islamica voluto da Trump. La grande manifestazione spontanea all’aeroporto JFK e la condanna palese del provvedimento da parte di esponenti politici, imprenditori, personaggi pubblici del mondo intero, hanno aperto un lungo dibattito e da questo sono scaturite anche alcune polemiche. Sono in molti, infatti, a chidersi perché tra i paesi musulmani considerati “pericolosi” da Donald Trump non ve ne sia nemmeno in cui Trump o l’America abbia interessi o accordi economico-politici.
“I rifugiati in fuga da conflitti e persecuzioni - ha dichiarato Antonio Guterres - trovano sempre più frontiere chiuse e un accesso sempre più limitato alla protezione di cui hanno bisogno e che hanno diritto a ricevere”.
Ma dietro il #MuslimBan vi sono famiglie divise, figli che tentano di ricongiungersi con i propri cari, storie, persone, vite. Molti di loro sono profughi richiedenti asilo, la maggior parte è al momento bloccata in un limbo.
L’inviata del TG2 Lucia Goraci ha raccontato alcune di queste storie, quelle di giovani profughi iracheni ospitati all’interno della scuola dove operano i salesiani di Don Bosco.
Una intervista che raccoglie i loro umori ma anche quelli degli operatori umanitari che si prendono cura di loro.
La guerra è lontana da queste mura sicure, ma la fine del lungo esodo cominciato anni fa non è vicina. Nella scuola intitolata a Don Bosco vi sono bambini profughi siriani ed iracheni soprattutto. I giorni scorsi è giunta la notizia che alcuni di loro non sarebbero più potuti partire per l’ordine esecutivo impartito da Trump che blocca i profughi siriani a tempo indefinito e gli iracheni per mesi.
Interviene il Direttore di Don Bosco Don Andres Calleja:
“Penso sia una grande discriminazione dire questo si e questo no. Penso a queste famiglie che hanno sofferto, che hanno lasciato questi paesi non per propria volontà”.
Prosegue un ragazzo:
”la decisione di Donald Trump di chiudere le frontiere è stato un grande shock per noi iracheni”.
La delusione e lo spaesamento di un futuro incerto spaventano questa ragazza:
”è difficile per le persone che stanno aspettando di andare in America; molti aspettano anche tre anni, aspettano solo il visto. Che faranno loro non lo so...”.
Commenta la giornalista: È difficile per questi iracheni di Baghdad, di Mosul che per il fatto di essere cristiani sono finiti nel mirino dell’ISIS, vedersi rifiutare dal Nuovo Mondo per il timore di quel terrorismo di cui loro stessi sono vittime.
Un’altra ragazza, invece, è furiosa e non trattiene un’aspra critica nei confronti degli Americani esportatori di democrazia:
“Ora hanno chiuso le porte, magari stanno cercando di proteggere il loro paese. Ma quando sono venuti in Iraq anni fa, hanno distrutto il nostro paese: noi non eravamo profughi allora, vivevamo in Iraq a quel tempo”.
Il provvedimento sostanzialmente vieta per 120 giorni l’ingresso negli Usa a tutti i rifugiati e per 90 giorni ai cittadini di 7 Paesi, in prevalenza musulmani (Iran, Siria, Iraq, Libia, Sudan, Yemen e Somalia). Sono incluse anche tutte le persone che hanno il doppio passaporto.
La posizione dell’Onu in merito è molto chiaramente espressa dalle parole di Antonio Gutierres:
“I paesi hanno il diritto, e anche l’obbligo, di gestire in modo responsabile i propri confini per evitare infiltrazioni da parte dei terroristi ma queste misure non possono basarsi sulla discriminazione per motivi di religione, etnia o nazionalità, perché questo va contro i principi fondamentali e i valori su cui si fondano le nostre società. Tali decisioni innescano ansia e rabbia diffuse, che possono facilitare la propaganda delle organizzazioni terroristiche che tutti noi vogliamo combattere”.
In una intervista rilasciata per il Bollettino Salesiano, Don Andres Calleja raccona: “A Istanbul i Salesiani si impegnano in un'ampia gamma di attività. La Cattedrale di Istanbul affidata ai Salesiani è al servizio di diverse comunità linguistiche. Vi si celebrano le funzioni liturgiche e si amministrano i sacramenti in inglese, francese, arabo e turco. Siamo anche disponibili a rivolgerci ai fedeli in farsi, spagnolo, italiano, tagalog, bahasa, portoghese e vietnamita. Accogliamo inoltre gruppi provenienti da ogni parte del mondo che compiono pellegrinaggi in queste terre. Dalla Cattedrale offriamo anche il nostro aiuto ai profughi provenienti dalla Siria e dall'Iraq tramite una piccola scuola che abbiamo aperto per i bambini di famiglie povere che hanno perso tutto, tranne la speranza! Cerchiamo di rafforzare la loro speranza e di preparare i loro figli per un futuro migliore. Ci occupiamo dei giovani profughi tramite un Centro Giovanile e lavoriamo anche al servizio di giovani immigrati africani che cercano di raggiungere l'Europa con la speranza di un futuro migliore”.