22 luglio 2010 - C’è chi lascia la città e si trasferisce in West Bank, rinunciando al proprio “status di residente permanente” a Gerusalemme Est. C’è chi, demolita la propria abitazione, si trasferisce a casa di amici, parenti o conoscenti, causando ulteriori problemi di sovraffollamento in una città dove la densità abitativa raggiunge livelli estremi. E poi c’è chi, come la famiglia Gawi, ha scelto di accamparsi per mesi in tende davanti alla propria ex-abitazione, occupata da settlers israeliani.
Demolizioni o sfratti a favore di cittadini israeliani: due realtà, due distinte giustificazioni su base legale. Ma il risultato delle politiche israeliane a Gerusalemme Est è lo stesso: migliaia di palestinesi perdono la propria abitazione.
Eppure, la demolizione di case palestinesi a Gerusalemme Est prosegue, creando disagi e problematiche per interi quartieri e centinaia di persone. Secondo i dati riportati dall’associazione B’tselem sarebbero 449 le case abbattute dal 2004 al 2009: le abitazioni di 1655 palestinesi. E sei edifici sono stati abbattuti nelle scorse settimane, lasciando altre decine di famiglie senza un tetto.
Le case distrutte dalle autorità israeliane sono state costruite illegalmente senza il permesso della Municipalità di Gerusalemme e il loro abbattimento appare, pertanto, in qualche modo giustificato. Ma il problema, come spiegano attivisti e associazioni di diritti umani, è tutt’altro: molti palestinesi di Gerusalemme Est, 260mila attualmente - e si stima che entro il 2030 raggiungeranno il mezzo milione - non hanno un posto dove vivere. Ottenere un permesso di costruzione è problematico e spesso impossibile, in quanto le proprietà a Gerusalemme Est non sono mai state registrate e dal 1959 non esiste un piano urbanistico municipale. Gli abitanti, quindi, da anni costruiscono abusivamente: secondo l’associazione Ir Amim, delle 46.000 case attualmente esistenti a Gerusalemme Est, circa 20.000 non avrebbero ottenuto alcun permesso municipale.
Come denunciato da Amnesty International e numerose altre organizzazioni non governative o associazioni di attivisti israeliane e palestinesi, ai residenti espulsi non viene offerta alcuna abitazione alternativa o risarcimento.
(fonte Unimondo)