7 ottobre 2014 - Continuiamo il racconto a puntate dell'estate 2014 di Marco Fulgaro, partito con l'Animazione Missionaria Salesiana del Centro Italia per l'Africa. Ecco la seconda pagina del suo diario.
Senza aver forse realizzato fino in fondo che finalmente era giunto il momento tanto atteso, venerdì 25 Luglio vado con le mie valigie al Sacro Cuore. Ultimi saluti, carichiamo i pullmini e si parte verso Fiumicino. Solita routine dell’aeroporto e verso mezzanotte l’aereo lascia il suolo italiano, direzione Addis Abeba.
Dopo circa sei ore, eccoci atterrati: “Siamo in Africa!”. Ci abbiamo messo un po’ ad uscire dall’aeroporto, per i vari controlli, con le nostre 22 valigie (due a testa, una per noi e l’altra piena di materiale raccolto da destinare alla comunità di Soddo). La prima immagine dell’Etiopia è un uccellino variopinto appena fuori, sulla strada. Ad accoglierci c’è don Aristide, salesiano italiano direttore della casa di Mekanissa ad Addis Abeba, insieme a Sisay, l’autista di un favoloso pullmino con 26 posti, che ci avrebbe portato nel Sud, a Soddo.
Dopo aver fatto tappa a Gotera, casa salesiana centro dell’ispettoria AET (Africa-Etiopia) “Maria Kidame Meheret”, per la colazione, si sale nuovamente sul pullmino per andare a Soddo, dove migliaia di ragazzi stanno attendendo il nostro arrivo.
Un viaggio infinito e stupendo, per una strada sempre dritta, costeggiata da centri abitati che si snodano lungo le arterie di comunicazione. Scopriamo che gli animali più comuni non sono né scimmie né leoni, ma asini, mucche (chiamate da noi “mucche-squalo” per via della caratteristica gobba), capre e pecore. Tutti i ragazzi che ci vedono passare, probabilmente stupiti che qualche farang (“uomo bianco”) attraversi quelle terre, ci salutano con entusiasmo mostrando una gioia fortissima. Tutti sono indaffarati, nessuno è fermo senza far nulla e ci sono tantissimi bambini.
Rimaniamo colpiti dai carichi pesanti che le donne trasportano, ma soprattutto rimaniamo a bocca aperta per la bellezza dell’Etiopia, fertile e verde (durante il periodo delle piogge) con una terra rossissima e dei paesaggi immensi. Arrivati a Soddo alle h 15:30 circa, troviamo un’accoglienza pazzesca: un calore umano mai percepito prima. Entrati nella cittadina, tutti ci salutano sorridenti e i ragazzi festanti corrono seguendo il pullmino. I salesiani ci danno il benvenuto “ufficiale” a Soddo: abba Giuseppe Larcher, salesiano italiano direttore della casa, brother Tedors e brother Mehari, insieme a brother Tariqu, Addisu, Dominik e abba Genar.
Non smettono di ripeterci “benvenuti” durante il pranzo veloce e anche sul muro notiamo la scritta “Welcome to Soddo” con tutti i nostri nomi attaccati. Poi si va in oratorio, dove un numero infinito di ragazzi vuole salutarci: tutti ci chiedono in inglese il nostro nome, molti ci regalano fiori e tutti vogliono tenerci la mano. Poi, uno alla volta, ci presentiamo mentre abba Larcher e i ragazzi intonano un canto di benvenuto per ognuno di noi.
Dopo la preghiera, i ragazzi se ne vanno e già intuiamo che sarà un’esperienza fantastica che segnerà per sempre la vita di ognuno di noi.
Insieme agli animatori e a qualche ragazzo, ci spostiamo in salone per recitare, in lingua amarica, il rosario, che caratterizzerà ogni nostra giornata a Soddo. In perfetto stile di Don Bosco, abba conclude la giornata con la buonanotte salesiana, presentando noi missionari italiani come inviati: “Voi siete un dono di Maria Ausiliatrice per i ragazzi di Soddo”.
Tornando verso le nostre stanze (abbiamo alloggiato all’interno della casa salesiana, in un edificio a due piani interamente destinato agli ospiti) siamo ancora scossi dal calore che ci ha accolto a Soddo. Dopo un breve incontro organizzativo, abbiamo avuto un po’ di tempo libero e ne abbiamo approfittato per visitare l’immensa struttura, che sarebbe stata la nostra casa per tre settimane. Tantissime piante, niente cemento per terra, la scimmia Bertuccia, compagna nei momenti di pausa, e un panorama da sogno…
Alle 19:30 si cena: i piatti tipici sono l’enjera, piadina realizzata con la farina di teff, cereale originario degli altopiani etiopici, che per gli etiopi è il piatto base ( nel Padre Nostro in amarico gli etiopi recitano: “dacci oggi la nostra enjera quotidiana”), e lo zighinì, carne di manzo piccantissima per via del berberè, spezia rossa tipica dell’Etiopia (a noi europei le cuoche hanno fatto una versione più “soft” meno piccante). Per il resto molta cipolla, verdure e tanto altro: non possiamo lamentarci del cibo che ci viene preparato.
Dopo aver fatto un po’ di condivisione tra noi, concludiamo la giornata con la preghiera della compieta, affidando al Signore quest’esperienza appena iniziata. Andiamo a dormire con la testa e il cuore pieni di immagini e di emozioni fortissime, curiosi di immergerci in quest’avventura così bella. Sicuramente l’inizio promette bene: non potevamo sperare, né immaginare, di meglio!
Marco Fulgaro