2 agosto 2010 - Il 26 luglio 2010 è una data che verrà ricordata nella storia dell'Ecuador: in questa giornata infatti è entrata in vigore la riforma della Legge sugli Idrocarburi che impone nuove regole alle compagnie petrolifere private presenti nel Paese e dichiara che il petrolio è al 100% di proprietà dello Stato.
Tra le novità più importanti del nuovo modello di contrattazione si stabilisce che lo Stato è proprietario del 100% del petrolio estratto (circa 500mila barili al giorno), mentre prima si arrivava a circa il 20%. Con le compagnie private lo Stato siglerà dei contratti per la prestazione dei loro servizi e sarà anche il beneficiario degli ingressi straordinari derivanti dell'aumento del prezzo internazionale del petrolio. Le compagnie dovranno incrementare i loro investimenti se vorranno rimanere nel Paese, da questo dipenderanno le tariffe che l'Ecuador pagherà per la prestazione dei servizi.
Le compagnie hanno 120 giorni di tempo per la rinegoziazione dei contratti: se entro questo termine non si adegueranno i terreni dove sorgono i pozzi torneranno di proprietà statale, il contratto si considererà rescisso unilateralmente, e lo Stato pagherà un indennizzo alle compagnie per gli eventuali investimenti non ancora ammortizzati. Le maggiori compagnie presenti nel Paese sono la spagnola Repsol-YPF, la brasiliana Petrobras, la cinese Andes Petroleum e l'italiana Eni-Agip.
D'altro canto questa riforma ha suscitato anche l'insoddisfazione dei movimenti indigeni. La paura è quella che questa norma possa dare ampio arbitrio allo Stato che in questo modo farebbe affari con altri soggetti, e semplicemente si sostituirebbe alle multinazionali senza badare ai veri interessi del Paese.
Per di più che nella riforma non c'è nessun riferimento alla protezione dell'ambiente, e da un Paese che ha lanciato la proposta di tenere il greggio della riserva sotto terra, non sembra proprio accettabile.