ANGOLA (23 marzo) - Cari amici, ecco altre notizie dal fronte! A volte mi sembra di essere in guerra veramente, in guerra con me stessa, nel tentativo di accettare le ingiustizie con cui mi confronto tutti i giorni. Le persone qui non hanno diritti, tutto è possibile, tutto è normale, perché è sempre stato così. Lavorare nel settore della salute è difficile, è difficile in tutto il mondo, ma nei paesi in via di sviluppo è una lotta. Ieri era sabato mattina, dopo una settimana infernale, finalmente provavo a rilassarmi un po', poi un ragazzo bussa alla porta. Era un abitante di un villaggio non molto distante da Lwena, che veniva a chiederci aiuto perché sua cognata stava partorendo, ma era insorta una complicanza ed aveva bisogno di un ospedale. Che fare?
Noi seguiamo 33 villaggi. Dare un passaggio con la macchina ad uno, significa innescare un meccanismo
non sostenibile per noi, significherebbe cioè, avere tutti i giorni una decina di persone con situazioni gravi che hanno bisogno di un servizio-ambulanza. L'ambulanza dell'ospedale non arriva nei villaggi.
Telefono a Paolino, che ormai conoscete tutti dai miei racconti, anche lui è in difficoltà…tutti e due sapevamo che la risposta logica sarebbe dovuta essere un "no", ma di fronte ad una persona che chiede aiuto è difficile dire no. Decidiamo di andare, con l'idea di aiutare questa donna, ma spiegando al capo villaggio che non può contare su questo servizio, che deve essere la prima ed ultima volta. Forse è ingenuo pensare che un discorso sia sufficiente, ma sentiamo di andare. Pioveva forte, ci mettiamo più del previsto, arriviamo nel villaggio, ma purtroppo la storia non ha un lieto fine, il bambino è già morto.
Tutto il villaggio è triste, triste per la morte del bimbo, io invece sono triste perché è un'ingiustizia, vorrei gradarglielo, vorrei dirgli che non devono accettare passivamente, che la salute è un diritto, ma ovviamente e forse per fortuna, loro sono rassegnati di fronte a questo evento, si raccolgono intorno a noi, ci raccontano che la ragazza ha 16 anni, che è la terza gravidanza e che ha perso tutti e tre ibambini.
In Angola un bambino su quattro muore prima di compiere i cinque anni, è alta anche la mortalità materna (anche se non ci sono dati ufficiali). Nei villaggi la maggior parte delle persone non sanno leggere e scrivere, non hanno una minima assistenza sanitaria, non conoscono la loro età, la data di nascita dei figli…ed il governo che fa? E pensare che l'Angola è un paese ricchissimo di petrolio e diamanti, ma il potere ed i soldi sono in mano di pochissimi; e i civilissimi paesi dell'occidente, che fanno oltre a sfruttare le risorse naturali di questo paese? Domande retoriche, ma quando si soffre con loro, non si può non pensare al nostro lusso, e a quante cose si potrebbero fare con una distribuzione più equa delle ricchezze e delle risorse.
Poi il mitico Paolino cerca di calmarmi, e mi dice che dieci anni fa la situazione era peggiore, che nessuno avrebbe sperato di sopravvivere alla guerra, di poter accedere alla scuola e di avere un posto di salute
come quello per cui stiamo lavorando, e ringrazia il Signore per quello che gli ha dato, dice che l'Angola è nata nel 2002 con la pace e che ora è come un bambino che sta imparando a camminare, che non si deve perdere la Speranza, perché tante cose sono passate, è il momento di costruire il futuro.
La mia fede è ancora piccola, non riesco a condividere le sue parole, ma mi fido di lui, che mi sta aiutando tanto e mi sta insegnando a sperare.
Fabiana Arrivi