Si è svolto a Roma, dal 30 ottobre al 4 novembre, il vertice della FAO sulla sicurezza alimentare. Disarmante la dichiarazione di fallimento della stessa FAO: "La fame nel mondo aumenta". Sembra quindi allontanarsi l’obiettivo, fissato nel 1996 dai leader di 186 paesi riuniti a Roma per il Vertice Mondiale dell’Alimentazione, di dimezzare la percentuale di persone che soffrono la fame entro il 2015.
Il Rapporto annuale sullo Stato di insicurezza alimentare nel mondo (Sofi), diffuso dalla Fao, ammette: "In dieci anni, in pratica, non è stato fatto alcun progresso verso l'obiettivo di dimezzare il numero di sottoalimentati nel mondo".
La dichiarazione della FAO pone, senza dubbio, dei forti interrogativi sul perché, dopo 10 anni non si è riusciti a migliorare le condizioni di vita delle popolazioni più povere e, per di più, il numero delle persone che soffrono la fame è aumentato.
Ci domandiamo: le strategie concertate a livello internazionale non andrebbero forse riviste? È ancora possibile intervenire per indurre, in quei paesi maggiormente colpiti dalla povertà, una propria via allo sviluppo?
Secondo la FAO, per ridurre la fame occorre destinare al settore agricolo e rurale una quota maggiore dei fondi per gli aiuti allo sviluppo di quanto non sia stato fatto sinora. Tra le misure che l’Agenzia suggerisce di adottare, due in particolare ci coinvolgono direttamente: far sì che il commercio mondiale funzioni anche per i poveri, con l'istituzione di meccanismi di protezione per i gruppi più vulnerabili; un immediato incremento del livello degli Aiuti Pubblici allo Sviluppo (APS) per arrivare a raggiungere lo 0,7% del Pil, come promesso.
È arrivato il momento di assumerci le nostre responsabilità di fronte ai poveri tutelando e promuovendo la loro crescita. Forse quello che manca non sono le misure o le strategie giuste, bensì la volontà di attuarle.
Valeria Rossato