Eccoci giunti alla quarta edizione del corso di formazione a distanza "Comunicazione e Sviluppo" , rivolto a tutti coloro che si interessano di tematiche legate allo sviluppo e alla omunicazione, operatori della comunicazione certamente ma anche operatori umanitari o semplici interessati.
Il tema della comunicazione non è solo importante in sé, ma è altrettanto interessante capire come e perché le Ong, le organizzazioni internazionali, la società civile, comunicano, cosa possono fare, quanto può incidere in un senso o in un altro la loro strategia comunicativa. Fino ad un po' di anni fa, tali organizzazioni si preoccupavano quasi esclusivamente delle proprie attività nel Sud del mondo, e solo più tardi si sono rese conto della necessità che a tali attività facessero eco e spinta nello stesso tempo, in un rimando continuo, le attività di educazione allo sviluppo nel proprio Paese e in contesto internazionale.
Oggi abbiamo degli esempi molto interessanti come il caso del quotidiano britannico The Guardian che monitora costantemente il progetto Katina in Uganda e, da evento mediatico, ne fa un reportage giornaliero che riesce a mantenere viva nel tempo l'attenzione del pubblico e si propone anche come osservatore dei processi legati al progetto.
Ma cosa significa esattamente comunicazione nel Sud del mondo?
La Banca Mondiale ha da poco ampliato la definizione di povertà, includendo fattori come: "senso di impotenza, mancanza di una voce, vulnerabilità e paura". Esiste effettivamente una squilibrio nello stato dell'informazione tra Nord e Sud, che porta i Paesi più poveri ad essere senza voce: a una crescente e dominante affermazione delle tecnologie e quindi del potere informativo, si contrappone un impoverimento delle capacità di "farsi ascoltare" da parte di soggetti (paesi, popoli, comunità) meno dotati di mezzi. Il genere di notizie di provenienza dal Sud che trovano ospitalità nei nostri mass media sono generalmente quelle che le grandi centrali di comunicazione decidono di trasmettere, secondo una scelta che rispecchia culture, interessi, gusti nostrani. Assistiamo di fatto a un flusso di notizie che apparentemente provengono dal Sud del mondo, ma in realtà sono indotte da chi le usa e modella secondo parametri estranei al Sud.
Oggi 300 società dominano il mercato dell'informazione. Di queste società, 144 appartengono all'America del Nord, 80 all'Europa, 49 al Giappone e 27 al resto del mondo. 4 agenzie tra queste trecento gestiscono l'80% del flusso di notizie: sono le americane Associated Press e United Press International, la britannica Reuters e la francese France Press. Prima della dissoluzione dell'Unione Sovietica, la Tass dominava l'est europeo e alcuni Paesi del terzo mondo. Ma ci sono delle agenzie del Sud del mondo in costante anche se non in rapidissima crescita ed anche delle agenzie del Nord del mondo che hanno un approccio completamente diverso; è fondamentale conoscerle e parlarne perché rappresentano l'integrazione, a volta anche lo stravolgimento, di quello che spesso ci viene presentato come verità assoluta.
Quanto conta il divario digitale nella difficoltà della comunicazione dal Sud del mondo?
Tecnicamente il digital divide è la disparità determinata dalla possibilità o meno di accedere alle tecnologie e alle risorse dell'informazione e della comunicazione, in particolare a Internet. La grande maggioranza della popolazione del mondo è ancora privata del tutto dell'accesso a Internet. L'88% degli utenti Internet vive nei Paesi industrializzati, contro il solo 0,3% che abita nei Paesi poveri.
Quale società dell'informazione?
Abituati come siamo a vedere dibattuti temi ben più drammatici ben pochi di noi sarebbero disposti a riconoscere urgenza ai temi mediatici. Su questi argomenti ogni discussione è sempre avvenuta all'insegna di un profondo e radicato ottimismo, alimentato dalla visione di una nuova "agorà" globale che i nuovi media starebbero materializzando. Anche la recente insistenza su un "divario digitale" da colmare camuffa a fatica la convinzione che le disuguaglianze provocate dalle nuove tecnologie siano tutto sommato una frattura temporanea, capace di comporsi da sola con il tempo. Eppure i conflitti esistono e sono appena dietro l'angolo. Oggi assistiamo all'accelerazione di un fenomeno che è sempre esistito nella storia: l'utilizzo dell'informazione come strumento di potere. Si sta rapidamente intaccando quel patrimonio di conquiste seguite all'invenzione della stampa, segnate dall'idea che la conoscenza dovesse essere libera e patrimonio di tutti. Nemmeno Internet ne è esente e si avvia tristemente a diventare uno spazio sempre più chiuso e commerciale.
Perché le Ong devono comunicare?
Soprattutto perché vogliamo, e le Ong in quanto espressione della società civile vogliono, un mondo più solidale, più equo, più giusto. Per far risaltare questo dobbiamo parlare del Sud del mondo e parlarne nel modo giusto. Sappiamo che ci sono tantissimi problemi nel Sud del mondo, problemi enormi che è difficile comunicare al mondo opulento del Nord senza creare fastidio, senza alimentare sensi di colpa. In questo modo, la comunicazione dell'Africa è sempre disperante, senza speranza, senza futuro; non è sbagliata solo da un punto di vista etico ma è anche sbagliata dal punto di vista della comunicazione stessa: è una comunicazione brutale, che offende, ferisce, traumatizza ma non conduce necessariamente a qualcosa di buono.
La comunicazione dovrebbe essere incoraggiante, per chi la fa e per la riceve. La comunicazione deve andare all'essenza ma non può essere disgiunta dalla forma che la connota e che è addirittura capace di stravolgere l'essenza stessa. Il connubio di immagine ed essenza è il marketing e le ong stanno imparando a fare i conti con il marketing.
Questo e molto altro è trattato nel corso "Comunicazione e Sviluppo".
Non perdetelo! Unica sessione con inizio 23 febbraio.