25 febbraio 2011 - "Anche se neppure tutto il denaro del mondo può pagare la perdita delle vite umane e i danni irreparabili dell'ecosistema, la cosa più importante ora è dimostrare al paese e al mondo intero che non bisogna arrendersi e che è possibile ottenere giustizia anche contro un gigante come Chevron". È il commento di Luis Yanza e Pablo Fijardo, avvocati delle popolazioni indigene che hanno accusato il colosso petrolifero di aver rovinato le loro vite e i loro territori, qualche mese prima della sentenza.
E la sentenza storica che le popolazioni indigene abitanti della foresta amazzonica ecuadoriana aspettavano da quasi 18 anni è finalmente arrivata. La condanna alla Chevron (ex Texaco) multinazionale statunitense del petrolio, è stata pronunciata lo scorso 14 febbraio. Anche se gli oltre otto milardi di dollari che l'azienda dovrà versare non riporteranno i morti in vita, non guariranno le persone che oggi lottano contro malattie come cancro e leucemie, non risaneranno l'ambiente irreparabilmente compromesso, il significato simbolico che una grande multinazionale venga riconosciuta colpevole di danni contro l'ambiente è sicuramente di grande impatto.
Gli abitanti della zona amazzonica nord orientale del paese, non lontano dalla frontiera colombiana che lottano da oltre 17 anni contro il gigante statunitense Texaco - oggi Chevron - si sono organizzati per chiedere giustizia per quello che viene considerato il peggiore disastro petrolifero della storia. I danni irreparabili che la compagnia statunitense ha portato nelle loro terre e nelle loro vite, durante gli oltre 25 anni in cui ha operato nel Paese sono enormi Politiche disumane che hanno contaminato terra, acqua e aria, portato malattie fino ad allora sconosciute che oggi colpiscono in queste zone in percentuali altissime, principalmente donne, anche se non compaiono in nessuna statistica. La compagnia è accusata di aver scaricato 464,8 milioni di barili (pari 16,27 milioni di litri) di acque contaminate da particelle di idrocarburi e metalli cancerogeni nei fiumi che attraversano le regioni di Sucumbios e Orellana, provocando - oltre a tutti gli altri danni - anche la contaminazione delle falde acquifere.
Due delle oltre quaranta etnie indigene presenti nella zona, sono completamente scomparse durante i primi cinque anni di attività estrattiva. Negli anni '90 la compagnia simulò una bonifica dei territori, ma poi i supervisori Chevron vennero incriminati per falsificazione dei documenti che ne attestavano la bonifica. Tra le richieste della FEDAM anche l'installazione di un sistema sanitario che permetta di diagnosticare, curare e studiare i casi di cancro e un programma culturale che garantisca il recupero delle culture indigene.
(Fonte: unimondo.org)