A 15 anni dal genocidio ruandese, centinaia di presunti responsabili sono ancora latitanti. Molti di loro hanno trovato rifugio in Belgio, Canada, Francia, Kenya e nella Repubblica democratica del Congo (RDC). Furono almeno 800.000 i tutsi e gli hutu moderati uccisi in meno di 100 giorni, tra aprile e luglio del 1994. Formalmente ricercati dal Tribunale penale internazionale per il Ruanda, o sospettati dai parenti delle vittime, i ricercati vivono sotto falsa identità o alla luce del giorno, a volte godendo dello status di rifugiato politico.
In fuga davanti all'avanzata delle truppe guidate da Paul Kagame, numerosi miliziani hutu, noti come 'Interahamwe', hanno trovato rifugio nel vicino Congo subito dopo la fine dei massacri, dove non hanno mai veramente deposto le armi, nonostante le operazioni militari lanciate contro di loro da Kinshasa, di cui l'ultima lo scorso gennaio.
Altri sospetti genocidari hanno preferito lasciare la regione dei Grandi Laghi: per rimanere in Africa, come il presunto tesoriere del genocidio, Felicien Kabuga, che avrebbe trovato rifugio in Kenya, secondo il Tribunale penale internazionale per il Ruanda; oppure per andare in esilio in Europa o in America settentrionale, in particolare in Belgio e Canada, dove «vivono centinaia di presunti assassini», secondo la Corte ruandese. I genocidari sono «ovunque» in metropolitana, nelle strade e nei caffè di Bruxelles, denunciava lo scorso settembre un'inchiesta condotta dalla televisione Rtbf. In Francia, le famiglie di vittime hanno presentato nel marzo 2008 una denuncia contro Agathe Habyarimana, vedova del presidente ruandese Juvénal Habyarimana, ucciso nell'attentato messo a segno la sera del 6 aprile 1994 contro l'aereo con cui stava rientrando nel Paese e che innescò i massacri. Importante paese di immigrazione, in Canada vivrebbero 800 sospetti genocidari, stando a stime delle associazioni dei superstiti. Ottawa ha ricevuto nel 2007 da Kigali e dall'Interpol una richiesta di estradizione per cinque uomini, che è rimasta sulla carta.
«Non è una priorità dare la caccia ai genocidari ruandesi», ha commentato René Provost, direttore del Centro per i diritti della persona e per la pluralità giuridica dell'Università McGill.
Tuttavia, è incoraggiante che nel 2007 sia stato portato a giudizio Desire Munyaneza, un hutu accusato di aver guidato una milizia. Si tratta del primo processo di questo tipo che si tiene in Canada, che sarà «un test», dice Provost, perché «a parte l'Europa» pochi Stati fanno lo stesso, sebbene siano oltre un centinaio i Paesi che hanno aderito alla Corte penale internazionale dell'Aia(Cpi), il tribunale permanente chiamato a giudicare i crimini di genocidio. E, nonostante la lentezza della giustizia, continua il giurista canadese, potrebbe segnare «l'inizio di una cultura della giustizia penale internazionale», perché questo processo incoraggerà «gli Stati a riconoscere come uno dei loro obblighi il dovere di arrestare e giudicare individui che hanno commesso atti di genocidio».
(Fonte: La Stampa.it)