Gli indigeni peruviani hanno sospeso la protesta contro il governo, dopo aver raggiunto un accordo con il Presidente del parlamento che prevede la revoca del decreto legge destinato a favorire la privatizzazione delle terre dei nativi alle multinazionali petrolifere interessate allo sfruttamento delle risorse di petrolio e gas. Si tratta di una "vittoria indigena".
Ad annunciare la fine delle agitazioni nel sudest e nel nord, che martedì avevano spinto il governo a proclamare lo stato di emergenza in diverse province, è stato il presidente dell'Associazione interetnica per lo sviluppo della selva peruviana: "Siamo fiduciosi - ha detto - e aspettiamo che adesso a muoversi sia il parlamento".
La protesta degli indigeni si era manifestata appunto in seguito alla firma di un decreto presidenziale che avrebbe consentito al Perù di soddisfare alcune delle condizioni poste da un accordo di libero scambio con gli Stati Uniti. Per diversi giorni gruppi di nativi hanno fatto blocchi sulle strade e agli ingressi delle istallazioni petrolifere e del gas per fermare una serie di leggi che avrebbero reso più facile l'esproprio delle loro terre. Un decreto limitativo delle libertà era stato quindi emanato dal governo e pubblicato sulla gazzetta ufficiale: sospensione per 30 giorni di qualsiasi riunione in luogo pubblico e del libero transito in tre province del nord. Nove giorni fa le tribù indigene hanno dato inizio alle proteste e sabato scorsi ci sono stati scontri con la polizia.
Senza previa consultazione delle popolazioni indigene interessate, il governo peruviano ha emesso 30 nuove leggi che permetteranno la vendita di territori indigeni violando così le linee guida internazionali sulla tutela delle popolazioni indigene e la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni. L'estrazione del petrolio e del gas nelle regioni amazzoniche del Perù ha già causato gravi danni ambientali compromettendo la salute di migliaia di persone e la conseguente distruzione della loro base vitale.