6 aprile 2012 - Undicimilacinquecentoquarantuno sedie vuote occuperanno oggi Sarajevo. Undicimilacinquecentoquarantuno quante le vittime della guerra interetnica iniziata il 6 aprile del 1992 a Sarajevo e durata millequattrocentoventicinque giorni, aggiudicandosi tristemente il record di conflitto più lungo della storia moderna.
Il 5 aprile 1992 migliaia di bosniaci sfilavano in pace a Sarajevo per scongiurare l’acuirsi delle tensioni dopo la separazione della Bosnia dalla Jugoslavia. Ma i cecchini serbo-bosniaci spararono proprio sui manifestanti per la pace, e il giorno dopo, quando l’indipendenza del Paese veniva riconosciuta ufficialmente dalla Comunità europea, la guerra era già iniziata.
Vent’anni dopo la Bosnia Erzegovina commemora quella triste giornata con undicimilacinquecentoquarantuno sedie vuote, davanti alle quali verrà suonato un concerto di due ore per quella platea senza volto e senza voce a cui è stata tolta per sempre la possibilità di assistere a un concerto, in nome di qualcosa o qualcuno che non ha più importanza, così come non ne aveva allora.
Nello stesso giorno verrà anche inaugurato il “Museo dell’assedio di Sarajevo - l’arte di vivere 1992-96” dedicato a tutte le vittime e presso l’Hotel Holiday Inn si riuniranno i reporter che seguirono il conflitto.
Il VIS, che insieme ai Salesiani opera dal 2006 nel Centro Scolastico Educativo Don Bosco di Žepĉe inseguendo l’obiettivo di raggiungere una convivenza pacifica tra ragazzi di etnie e religioni diverse attraverso la partecipazione ad attività sportive, ricreative e scolastiche, ha organizzato nel 2008 la Settimana di Educazione alla Mondialità itinerante che ha toccato la Croazia, la Serbia e la Bosnia Erzegovina. In ognuno dei Paesi i partecipanti hanno avuto l’opportunità di frequentare la comunità locale e ascoltarne i racconti. Ognuno aveva una ferita da medicare, una tomba da onorare, un brutto ricordo da dimenticare, una verità da raccontare. Respirare da vicino, in ogni città e in ogni incontro, un odio creato nel giro di pochissimo tempo che si è radicato in chi c’era e da ieri in poi verrà tramandato a chi ci sarà è un’esperienza agghiacciante.
Ma dopo quattro anni di orrore, più di centomila vittime, ottomila civili musulmani uccisi, cosa ci si può aspettare? L’ Amore. L’unica cosa che può salvare, salvarli, salvarci dall’inevitabilità del dolore. Tutto il resto purtroppo è storia, quella che non vorremmo più raccontare, soprattutto oggi, a undicimilacinquecentoquarantuno sedie vuote.