L’11 giugno si sono concluse a Bonn le due settimane di negoziato sul clima, il primo appuntamento importante dopo Copenaghen.

16 giugno 2010 - Da dicembre ad oggi i governi dei Paesi più poveri sono stati oggetto di pressioni incrociate volte ad ottenere il loro via libera sull'Accordo di Copenaghen. Ai governi del Sud è stato chiarito da subito che per poter accedere alle limitate risorse messe sul tavolo dai proponenti dell'Accordo, bisognava accettarne i contenuti. Tuvalu - una nazione insulare polinesiana - è stato tra i primi governi a denunciare come l'Accordo venisse usato come strumento politico dai paesi industrializzati.
A Bonn, hanno infine avuto luogo le prove generali della strategia disegnata dagli Stati Uniti, e sottoscritta poi dall'Unione Europea. Il disegno prevede, in primo luogo, di liberarsi del Protocollo di Kyoto, che gli Stati Uniti non hanno ratificato e non hanno nessuna intenzione di farlo. La strategia passerebbe tramite diversi incontri ristretti da tenersi tra luglio e novembre. Tappa obbligata il G20 di Corea, dove si discuterà anche di materia climatica, in una dinamica di esclusione e decisionismo già rivelatasi incapace di portare a soluzioni reali.

Così senza una seconda fase di implementazione per il Protocollo, non ci sarebbero più obiettivi vincolanti a cui gli Stati Uniti dovrebbero adeguarsi, e questo renderebbe più semplice per il Congresso accettare che il governo USA si comprometta in un'intesa globale sul clima. A queste condizioni si rischia una catastrofe umanitaria e ambientale: milioni di vite umane in pericolo, e di interi continenti e ambienti ricchi di biodiversità che diventerebbero terra arida, senza più vita.

Gli Europei, dopo avere obbedito alle indicazioni USA negli ultimi mesi, girando il Pianeta in cerca adepti per quell'Accordo che alla fine è stato concluso senza di loro, a Bonn hanno alzato la testa facendo presente che loro al contrario di altri hanno mantenuto gli impegni presi, e stanno già sborsando i finanziamenti veloci promessi a dicembre. L'UE ha inoltre dichiarato che tra il 22 e il 30% delle riduzioni interne avverrà attraverso progetti realizzati fuori dall'UE, traendo massimo vantaggio dai meccanismi flessibili previsti dal Protocollo di Kyoto. Famigerati strumenti finanziari che creano permessi di emissione di dubbia valenza e spesso con la realizzazione di progetti devastanti a livello socio-ambientale - ad esempio le grandi dighe in Africa. Si parla quindi di riduzioni reali dell'8%, troppo poco per chi come l'Europa porta sulle proprie spalle l'imbarazzo di quattro secoli di sfruttamento delle risorse dei Paesi del Sud del mondo, e la promozione di un modello economico, di produzione e di commercio a livello globale senza valutarne prima la sostenibilità per i più poveri.

Non saranno la finanza creativa o false soluzioni di mercato a salvare il pianeta dalla catastrofe ambientale e climatica. Serve invece che i governi sviluppati si mettano alla pari degli altri e accettino di negoziare senza ricatti e senza processi paralleli, secondo le regole di un autentico multilateralismo. É tempo che l'UE rispolveri i principi cardine della democrazia, della solidarietà e del multilateralismo, alla base della sua creazione diversi decenni fa, e si metta in gioco per fermare la deriva di questo negoziato, da cui mai come in altri casi dipende la sopravvivenza del pianeta.

 

(Fonte: Campagna per la riforma della Banca Mondiale)