Martedì 26 giugno 2007 si svolgerà, presso la Camera dei Deputati – Palazzo Marini – in Roma, un convegno Internazionale in occasione della giornata mondiale delle Nazioni Unite contro la tortura.
Attualmente in Italia, nonostante il nostro paese abbia ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura firmata a New York il 10 dicembre 1984 e in vigore dal 26 giugno 1987, non vi è ancora una normativa nazionale che preveda la punibilità del reato di tortura in quanto tale: ciò rende il nostro paese inottemperante nei confronti di uno degli articoli della Convenzione che impone l’adozione della punibilità normativa del reato in oggetto. Ad oggi, tutte le volte in cui si palesa il reato di tortura sono applicati gli articoli del codice penale che prevedono i reati di percosse o lesioni personali.
Non dobbiamo dimenticare inoltre che l'Italia ha ratificato la Convenzione Europea dei diritti umani (CEDU) nel 1955 e che l'art. 3 della CEDU stabilisce il divieto di trattamenti inumani e degradanti: la giurisprudenza CEDU riconosce una violazione dell'art. 3 non solo quando gli Stati Membri del Consiglio d'Europa pongano in essere trattamenti inumani e degradanti ma anche in caso di estradizione o espulsione di stranieri verso Paesi (non membri del Consiglio d'Europa) in cui gli stessi possano essere sottoposti a tortura o a trattamenti inumani e degradanti. Il non avere ancora una legge sul diritto d’asilo adeguata contribuisce ad accrescere il disagio senza sanare le inottemperanze.
Tuttavia solo il 13 dicembre del 2006 la Camera dei Deputati ha approvato il disegno di legge per l'introduzione del reato di tortura nel codice penale (art. 613 bis). Il disegno di legge è attualmente in discussione al Senato, in Commissione Giustizia.
La verità è che questa legge fa paura: in occidente più che in ogni altra parte del mondo.
Dobbiamo abbandonare la presunzione, propria di tutti i paesi a democrazia consolidata, che violazioni quali tortura non ci appartengano, che non entrino entro i nostri confini nazionali.
Dobbiamo renderci conto, che anche noi, che adoriamo “batterci il petto” immolandoci nelle grandi imprese umanitarie, abbiamo una coscienza che grida come tutte le altre nazioni del mondo.
Debora Sanguinato