Caracciolo: troppa enfasi per un summit che non può essere il governo del mondo

A poche ore dalla conclusione del G8 dell'Aquila, che ha visto la partecipazione, accanto ai grandi della terra, delle nuove potenze emergenti, riportiamo un'intervista a Lucio Caracciolo, direttore della rivista bimestrale Limes, pubblicata da Il Sussidiario.net.

Dottor Caracciolo, di fronte a queste riunioni dei grandi della terra molti analisti e commentatori di relazioni internazionali hanno l'impressione che stiamo assistendo a un indebolimento generale di tutti gli organismi sovra-nazionali, dall'Unione Europea all'intero sistema delle Nazioni Unite passando per il G8. Lei condivide questa preoccupazione?

Assolutamente sì e per due ragioni. In primo luogo, la profondità dei problemi che queste organizzazioni sono chiamate a risolvere dovrebbe essere affrontata statutariamente. La seconda ragione è che gli Stati che fanno parte di queste organizzazioni tendono sempre di più ad appropriarsi di strumenti di ogni genere utili a perseguire quei fini che dovrebbero invece essere decisi e concertati in sedi internazionali. Tutto ciò sta rendendo le istituzioni internazionali particolarmente deboli.

Stiamo tornando alla centralità delle sovranità nazionali?

Non c'è dubbio, è assolutamente così e in termini economici questo significa protezionismo.

Gli attacchi del Guardian, prima, e del New York Times, poi, non hanno prodotto i risultati sperati. Il Presidente Obama e il primo ministro inglese, Gordon Brown in primis hanno difeso a spada tratta "la leadership italiana". Come dobbiamo leggere queste accuse?

Premesso che siamo un paese profondamente provinciale, ossia eccessivamente attento ai giudizi altrui, parlerei di attacchi molto violenti da parte dei giornali francesi, spagnoli, tedeschi, inglesi e americani. Tutti nostri principali Paesi di riferimento, alleati e partner economici. Questi attacchi riflettono la debolezza politica italiana e la debolezza personale dell'immagine di Berlusconi all'estero. Non escludo però che questa volta ci possano essere degli interessi da parte di realtà pubbliche e private che stanno spingendo per mettere in cattiva luce l'Italia. Rimane il fatto che al di là di Berlusconi regna un senso di disistima e diffidenza nei confronti dello Stato italiano a prescindere da chi lo governi e questo compromette tutta la Nazione a livello d'immagine.

Si corre il rischio che questo sia l'ultimo G8 a presidenza italiana?

Mi auguro di no. E' sicuramente un evento di prestigio ma comunque non è in questa sede che si decidono i destini del mondo. Ci siamo prestati a enfatizzare troppo un evento di questo tipo, gli abbiamo attribuito quasi un'immagine salvifica che poi ci lascia inevitabilmente scoperti a facili critiche. Giudichiamo il G8 per quello che è. Un incontro di leader mondiali che governano il 50% dell'economia mondiale e che hanno un'occasione in più per conoscersi meglio, discutere dei grandi problemi e scambiarsi qualche importante informazione soprattutto nei corridoi più che nelle sedute formali. Certamente il G8 non è neanche lontanamente il surrogato di un ipotetico governo mondiale.

Le principali potenze mondiali riunite a L'Aquila hanno dichiarato in un importante documento che "il mercato deve restare libero e aperto". Non si corre il rischio che quando la crisi finirà i Paesi che hanno inseguito il modello anglosassone come la Spagna ritorneranno ad avere una marcia in più mentre i Paesi come l'Italia che nei fatti condannano completamente il modello di sviluppo fondato sul credito senza forti garanzie rimangano bloccati?

Non sono un economista ma la mia impressione è proprio che andrà a finire così. Vi sono delle culture nazionali, anche in campo economico e finanziario, molto più radicate della volontà di questi Paesi di poterle stravolgere. Se guardiamo a come si stanno muovendo le grandi banche nel mondo anglo-americano, non è difficile notare che stiamo tornando ai comportamenti che hanno preceduto il Settembre 2008 sia per quanto riguarda la finanza derivata sia per il trattamento dei manager. Il progetto di regolamentazione dei legal standard di cui tanto si parla rimarrà più ipotetico che effettivo. Con i suoi pro e i suoi contro. Perché non scordiamo che l'economie altamente finanziarizzate hanno creato anche molta ricchezza per tutte le fasce sociali.

Come va letto il dato che il Presidente Obama non è riuscito a convincere Cina e India ad unirsi agli altri Grandi per diminuire le emissioni di anidride carbonica del 50% entro il 2050?

Era una missione semplicemente impossibile. E' logico che Cina ed India rispondano che vogliono raggiungere almeno un livello di benessere uguale al nostro. Il G8 in questo è stato ipocrita, in quanto proponendo questo obiettivo nel 2009 non potrà verificarlo nel 2050. Inoltre si è trovata una soluzione non chiara, senza indicare gli strumenti per raggiungere l'obbiettivo con l'indicazione che la temperatura terrestre non aumenti se non al massimo di due gradi. Su questo argomento c'è il rischio di far solo mera propaganda senza un risultato d'impatto reale.

Sembra che il G8 con il documento "from food to farm - dal cibo alle fattorie", abbia dato indirettamente ragione alla dottrina sociale della Chiesa secondo cui per combattere la povertà, specialmente in Africa, non sono sufficienti solo programmi di assistenza alimentare ma bisogna portare un autentico sviluppo come la costruzione di fattorie e nuovi sistemi di distribuzione.

Sicuramente alcuni principi come quello della sussidiarietà sono ormai recepiti anche a livello di economisti e politici di grande spessore. Indicare queste soluzioni da parte della Chiesa è senz'altro giusto. Il G8 dal canto suo dovrebbe impegnarsi per trovare gli strumenti e i passi concreti per realizzare questi principi. Mi pare che la volontà politica per applicarli specialmente in tempi di recessione sia alquanto limitata.

Come giudica la posizione di Obama e di tutte le potenze riunite che si sono allineate con gli Stati Uniti rispetto ai fatti di Teheran?

Una posizione coerente con quello che Obama ha fatto fin ora. Probabilmente il tentativo disperato di arrivare a un negoziato serio con l'Iran che possa impedire la guerra.

(Mattia Sorbi)