13 maggio 2015 - Il presidente Pierre Nkurunziza ha declinato l’invito a rinviare le elezioni, presentato da Unione Europea e Stati Uniti alla luce delle proteste in corso da settimane a Bujumbura e costate la vita a 19 persone.
“Una decisione del genere rischierebbe di far sprofondare il paese nel caos” ha detto Nkurunziza in un’intervista all’emittente britannica Bbc, aggiungendo che le proteste sono “organizzate da forze esterne al paese”, ma che il governo “non si lascia intimidire”. Il presidente si è detto anche “sicuro del corretto e trasparente svolgimento del voto” assicurando che “qualunque sia il responso delle urne sarà accettato”.
Intanto il numero di civili in fuga dal paese verso i vicini Tanzania, Rwanda e Congo ha raggiunto quota 50.000. Secondo gli operatori umanitari e le fonti contattate nel paese, gli sfollati scappano dalle milizie governative ‘Imbonerakure’ (in lingua kirundi ‘le sentinelle’ o ‘coloro che guardano lontano’). Tra coloro che hanno oltrepassato la frontiera rifugiandosi in Rwanda, alcuni hanno raccontato che le loro case erano state contrassegnate con vernice rossa e che i giovani ‘teppisti’ del partito di maggioranza li avrebbero minacciati di morte nel caso in cui il presidente non vinca le elezioni.
Secondo questi resoconti, i sostenitori del governo avrebbero iniziato rastrellamenti porta a porta alla ricerca di sospetti oppositori da interrogare, picchiare e incarcerare.
La candidatura di Nkurunziza – giudicata anticostituzionale dagli oppositori – è stata avallata nei giorni scorsi dalla Corte costituzionale “poiché al suo primo mandato, il presidente fu eletto dai parlamentari e non attraverso un suffragio popolare”. La Costituzione del Burundi, infatti, limita chiaramente a due i mandati presidenziali.
Una ricandidatura di Nkurunziza violerebbe inoltre gli Accordi di Arusha, che nel 1993 misero fine a 13 anni di guerra civile costati la vita a oltre 300.00 persone.
Oggi a Dar es Salam, in Tanzania, i paesi della Comunità dell’Africa Orientale si riuniranno nel tentativo di riportare la calma ed evitare che il paese scivoli verso una pericolosa crisi che potrebbe minarne la stabilità interna.