11 gennaio 2016 - Non si intravede ancora una soluzione per la crisi in Burundi. I negoziati tra alcuni rappresentati dell’opposizione e il governo di Bujumbura si sono fermati all’unico incontro del 28 dicembre ad Arusha, in Tanzania. Un altro meeting, fissato per il 6 gennaio, è stato disertato da entrambe le forze in gioco.
L’esecutivo di Pierre Nkurunziza ha dichiarato di non riconoscere come interlocutore la piattaforma del CNARED, l’unione dei partiti di opposizione del Burundi, composta in buona parte da ex membri del CNDD-FDD, il partito di Governo. Allo stesso modo, ha rifiutato la proposta dell’Unione Africana di inviare nel Paese truppe di peace-keeping.
La situazione sul campo, intanto, peggiora sempre di più. Secondo quanto riferiscono i media internazionali, nella Polizia e nell’esercito burundesi sono infiltrati forze come Intermhamwe (tra i responsabili del genocidio in Ruanda del 1994) e FLDR (il principale gruppo residuo di ribelli ruandesi aderenti alla dottrina dell'Hutu Power). Il conflitto, insomma, sta prendendo una pericolosa svolta etnica, che rischia di far degenerare ancora di più la situazione.
L’Articolo 4 della Costituzione dell’Unione Africana, al comma H, recita testualmente: “L’Unione ha il diritto di intervenire, in seguito a una decisione dell’Assemblea, in uno stato membro responsabile di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità”.
Al momento, però, sono solo parole. Parole a cui serve un seguito concreto, una presa di posizione forte per fermare questa spirale di violenza. È già troppo tardi. Serve fare qualcosa.