13 maggio 2010 - Il CINI chiede a Frattini di non finanziare la diga GIBE III in Etiopia

La lettera, firmata dalla maggioranza delle Ong italiane ed inviata oggi al ministro degli Esteri Franco Frattini e alla direttrice del dipartimento sulla cooperazione Elisabetta Belloni, mette in discussione la configurazione stessa  del progetto di costruzione della diga GIBEL III come Progetto di Sviluppo, ne sottolinea la scarsa trasparenza e l’evidente ed immane impatto socio-ambientale.

Tra i firmatari anche il Coordinamento Italiano Network Internazionali (CINI), di cui il VIS fa parte, che si unisce agli altri coordinamenti per chiedere che il nostro governo non finanzi il progetto della centrale idroelettrica di Gibe III, per il quale è stato richiesto delle autorità etiopi l’erogazione di un credito d'aiuto di 250 milioni di euro finalizzato alla realizzazione della diga lungo il corso del fiume Omo.

La lettera sottolinea la precarietà delle risorse destinate all’Aiuto Pubblico allo Sviluppo, resa più evidente dai drastici tagli confermati dalla  Finanziaria 2010 “In questo contesto si configura quanto mai necessario un utilizzo delle poche risorse disponibili che sia efficiente e mirato all’efficacia degli aiuti, mantenendo una rigorosa coerenza con politiche di sviluppo chiare e definite, nel rispetto delle linee guida settoriali e dei piani di programmazione paese, come peraltro indicato nel Piano Programmatico Nazionale per l’Efficacia degli Aiuti”

L’ammontare del credito richiesto per Gilgel Gibe III  che, peraltro,  non rientra tra le iniziative previste nella programmazione triennale di cooperazione con l’Etiopia 2009-2011 “è il più ingente nella storia del fondo rotativo e, a fronte delle risorse disponibili, si configura come insostenibile. Azzerare il fondo rotativo in questo momento significa privare l’Italia di un importante strumento di cooperazione che, se oculatamente gestito, permetterebbe di promuovere iniziative concrete di sostegno a vantaggio di più di uno dei paesi indicati come prioritari.

“Gli impatti socio-ambientali sono di portata enorme, il progetto non si può configurare in alcun modo come un'iniziativa di aiuto allo sviluppo visto che metterà a rischio la sicurezza alimentare di mezzo milione di persone fra Etiopia e Kenya, e la stessa sopravvivenza di comunità tribali già duramente provate da conflitti etnici per il controllo delle scarse risorse naturali”

La lettera termina con la richiesta che “sia aperto un tavolo di consultazione partecipata sull’utilizzo e funzionamento del fondo rotativo, allo scopo di ottimizzarne le potenzialità quale importante strumento di sostegno alle politiche del nostro paese per lo sviluppo, ed in coerenza con le precedenti esperienze costruttive di dialogo e confronto attivate dal Ministero Affari Esteri con le ONG italiane”.