Un mese in Angola tra churrasco, fatture e secchielli

29 agosto 2016 - Francesco, operatore VIS in Angola, ha condiviso con noi le sue riflessioni ed emozioni dopo un mese trascorso a Luanda.

"Ero a Luanda da pochissimi giorni, si parla di poco più di un mese fa. Una sera vengo invitato a una grigliata a casa di colleghi brasiliani: un bel compound pulito, ordinato, silenzioso, in una delle zone più belle di Luanda, il Miramar. Mentre sulla griglia sfrigola il churrasco e io sorseggio una birra fresca, mi affaccio dalla terrazza che sorge vicino alla piscina. Il Miramar si chiama così perché da lì si può godere di una bella panoramica della laguna di Luanda: davanti a me svettano i grattacieli che sorgono lunga la Marginal, il maestoso lungomare della capitale angolana, mentre poco più lontano brillano le luci dei ristoranti e dei locali notturni della Ilha, una delle zone più frequentate dagli stranieri. Al largo, in lontananza, posso scorgere le numerose petroliere che lentamente si avviano a portare verso le raffinerie quella che è la principale ricchezza, e allo stesso tempo la più grande disgrazia, di questo paese. Ma basta ruotare lo sguardo di 180 gradi, dando le spalle al mare, e lo spettacolo che mi si presenta è ben diverso: la Lixeira -che letteralmente vuol dire discarica, cumulo di rifiuti- è un’immensa distesa di case fatiscenti e di baracche in cui vivono migliaia di persone in condizioni di povertà estrema. Da lassù, nella semioscurità del tramonto, non riesco a inquadrare il Centro Don Bosco che sorge al centro del quartiere, ma so che c’è, l’ho visto qualche ora prima. Una piccola oasi di speranza per chi è talmente povero da non potersi neanche permettere di sognare un futuro migliore. Come VIS stiamo collaborando insieme ai Salesiani di Don Bosco, a Lixeira come in altre zone di Luanda e dintorni, per rafforzare l’azione a sostegno dei giovani più vulnerabili e marginalizzati: attività ricreative per avvicinare i bambini e i ragazzi di strada; accoglienza degli stessi nei centri diurni e notturni; formazione professionale e inserimento nel mondo del lavoro; azioni a supporto del reinserimento familiare e dell’identificazione personale; sessioni di formazione per gli educatori locali.

Il Miramar e la Lixeira non distano più di un chilometro in linea d’aria, ma sembrano sorgere su due pianeti diversi. E in un certo senso è così. L’Angola nella prima metà degli anni Duemila ha conosciuto un boom economico che a tanti ha dato l’illusione che i problemi ereditati dalla povertà strutturale, aggravati da una guerra civile durata più di trent’anni, fossero alle spalle. La crisi finanziaria globale e il crollo del prezzo del petrolio hanno interrotto bruscamente questo sogno effimero e ingenuo. I pochi che sono riusciti a entrare nel circolo magico delle élite hanno uno stile di vita che farebbe invidia a tanti pulas, il nomignolo destinato agli europei da queste parti. Si tratti dei pochi, pochissimi angolani che fanno parte delle grandi multinazionali del petrolio, dei quadri dirigenti del partito al potere, dei colossi della finanza, delle imprese di costruzione… Sono loro i veri padroni del paese in questo momento.

Ma la stragrande maggioranza della popolazione ha visto peggiorare di anno in anno le sue condizioni: nei negozi di Luanda e di tutto il paese scarseggiano beni di prima necessità, e i prezzi di quelli disponibili aumentano a ritmi vertiginosi. Capita sempre più spesso di vedere fuori dalle panetterie della capitale decine di persone in fila per comprare il pane, il cui prezzo è quasi raddoppiato negli ultimi tre mesi. Le strade sono abitate da centinaia di bambini e adolescenti che passano le loro giornate tra furti, assunzione di droghe e fughe dalla polizia. Il sistema sanitario pubblico è al collasso, e per chi non può permettersi le cure private malattie perfettamente curabili si rivelano spesso letali.

In un mese qui in Angola mi sono abituato a tante cose. Non faccio quasi più caso alle continue interruzioni di acqua ed energia elettrica. Trenta giorni mi sono bastati per iniziare a districarmi nel folle traffico di Luanda, una città di sette milioni di abitanti in cui nei giorni più fortunati funzionano a malapena una decina di semafori. Dopo un mese in Angola mi sembra che l’unico pranzo possibile sia composto da riso, patate, pollo e feijão. Sono arrivato al punto di non provare più alcun fastidio nel sentire la musica sparata a tutto volume a ogni ora del giorno e della notte sotto le finestre dell’ufficio e di casa.

Ma non sono stato capace di abituarmi alle grandi ingiustizie che mi si presentano quotidianamente sotto gli occhi. Non riuscirò mai a farmi sembrare normale che grattacieli, ristoranti e alberghi di lusso siano circondati da baraccopoli in cui mancano cibo, acqua potabile, cure mediche.

In quanto amministratore dei progetti VIS, molto spesso le attività che realizziamo appaiono ai miei occhi sotto forma di colonne sui file excel, fatture, estratti conto bancari o report finanziari da compilare. Un lavoro che ai più potrebbe apparire noioso, burocratico, statico: ma nelle occasioni in cui mi è capitato di vedere in prima persona gli effetti di questo lavoro, parlare con le persone coinvolte nel progetto, con i ragazzi che ne hanno beneficiato, ho capito che è un lavoro necessario affinché tutto quello che è stato fatto negli anni non vada perso, ma continui a migliorare. Ogni componente dello staff VIS, qui a Luanda come a Luena dove è in corso un altro progetto a sostegno dei ragazzi di strada, è ben consapevole che il suo contributo è fondamentale per lo svolgimento e la buona riuscita dei progetti. Nessuno di noi vuole abituarsi alla povertà, al degrado, alla disgregazione sociale e familiare, alle ingiustizie che vediamo tutti i giorni e che a volte possono apparire inevitabili.

Non possiamo infatti negare che in certi casi le sfide che ci si propongono possano sembrare perse in partenza: ci sono momenti in cui si ha la sensazione di voler svuotare il mare con un secchiello. Ma quali sono le alternative? Forse l’inattività, la rassegnazione, la critica sterile, il pessimismo, risolverebbero in qualche modo la situazione? La migliorerebbero? Credo di no. E così anche questa mattina, come faccio da un mese a questa parte, ho preso il mio “secchiello” e sono andato a lavorare."

 

Francesco Gentile, Operatore del VIS a Luanda, Angola