Storia di una bimba in Burundi

14 ottobre 2016 - Questa storia viene da Buterere, una quartiere periferico di Bujumbura. Siamo in Burundi e purtroppo si tratta di una storia vera.

"Avere delle figlie di 12 anni da proteggere, da far crescere senza che siano segnate da ferite profonde o traumi interiori e far di tutto per assicurare loro la possibilità di un avvenire migliore in un mondo più umano e più giusto di quello attuale. Un teorema semplice, una ipotesi che fai di tutto per rendere concreta.

Ma quando la cali in situazioni come quelle che stiamo vivendo in Burundi le incognite diventano molte e il teorema non funziona più. Prima incognita, la povertà. Non è la stessa cosa nascere in un “rugo” (la tradizionale capanna di villaggio) sperduto sulle colline burundesi o nelle case di un direttore di banca o di un medico a Bujumbura, la capitale del Paese. Lo senti dal sapone che si usa per lavarsi, lo vedi dagli abiti indossati, lo percepisci dal tipo di crema da barba, lo vedi dal fisico delle persone e dalle loro guance più o meno “piene”.

Seconda incognita: la scuola. Sembra che l’ingiustizia modelli le sue vittime senza pietà. Per una ragazza nata sulle colline la strada è già tracciata: poca scuola, lavoro nei campi, approvvigionamento giornaliero di legna e acqua, matrimonio precoce, uno stuolo di figli, malnutrizione cronica. Per una ragazza nata in una famiglia agiata, invece, vestiti alla moda, parrucchiere, profumi, scuole internazionali, vacanze in altri Paesi, cellulare e poi tablet. La scuola, l’università. Anche qui tutto è scritto, ma con un’altra penna. Due figli o forse tre. Un buon lavoro, una macchina, una casa tua, dove non ti dorme accanto una mucca .

Quanto vale una bambina di 12 anni nata sulle colline del Burundi? Mano d’opera senza prezzo, prezioso aiuto alla famiglia, promessa di dote vicina ma esclusa dalla divisione ereditaria della famiglia di origine. Quanto vale una bambina figlia di un medico? Abituata al benessere e alla baby sitter che l’aiutano e l’assistono in tutto, può mangiare tre volte al giorno e godere di acqua corrente che fuoriesce dal rubinetto. Forse ha qualcuno che le lava e le stira i vestiti, o che lava i piatti in casa e lei ha come unico compito lo studio, portata sul palmo della mano dai suoi genitori.

Destini differenti.

Già destini differenti.

Ho una storia tanto brutta da raccontarvi, una storia che riempie di amarezza ma chissà cosa avrebbe fatto il medico o qualunque genitore di un quartiere malfamato della periferia di Roma... se avessero stuprato sua figlia.

Buterere, quartiere di Bujumbura dove da anni si butta l’immondizia . Discarica a cielo aperto, dove la falda acquifera è ormai inquinata, dove si aggirano migliaia di persone senza fissa dimora nella quotidiana ricerca di qualcosa da rivendere. Buterere, quartiere dove molti sono stati i morti sacrificati al terzo mandato del Presidente della Repubblica. Buterere, dove la polizia segreta aveva arsenali e una base per le sue razzie. Buterere, terra di povertà e di emarginazione.

Fine luglio 2016, alcune bambine sono tornate a casa lasciando la casa-famiglia dove abitualmente vivono. Alcune di loro si ritrovano un pomeriggio insieme per passare qualche ora in allegria. Un uomo piomba in casa, accompagnato da una donna. Stupra le bambine, una dopo l’altra, come se stesse comprando delle scarpe e se ne va, lasciandole in lacrime sotto la minaccia del machete della donna.

Scatta la denuncia. Lo stupratore è arrestato e portato al commissariato. L’ufficiale di polizia giudiziaria stende il verbale della denuncia e dell’inchiesta. Invia le bambine al centro medico “Seruka” dove viene accertato lo stupro. Si aspetta solo il trasferimento dello stupratore nella prigione centrale di Mpimba.

Ma il dossier non arriva sulla scrivania del Procuratore. Sparisce. L’ufficiale di polizia giudiziaria viene trasferito altrove. Lo stupratore rimesso in libertà. Le bambine struprate, senza giustizia.

Scatta l’inchiesta sulle persone implicate in questo ennesimo episodio di violenza. Le bambine non hanno papà, sono figlie della strada, alcune sono anche senza madre. Dunque sono destinate a soffrire e a subire. Ascoltando la loro storia senti una rabbia furiosa che sale dallo stomaco. Quanto avrà pagato lo stupratore per non finire a Mpimba? 10.000 franchi burundesi?? 50.000? Dai 5 ai 25 euro. Questo è il prezzo della vita e della dignità di una bambina? Eppure il codice penale burundese è chiaro, articolo 385: prigione da 5 a 20 anni per ogni autore di stupro effettuato con minacce e violenze. La pena è aggravata quando le vittime sono minori.

Cerchiamo un avvocato. Comincia il lavoro di ricerca della verità e dei colpevoli. Incontriamo il cosiddetto capo-quartiere (“chef de zone”) che dice di non sapere nulla dello stupro, che nessuno gli ha riferito nulla. Eppure ogni settimana si svolge una riunione di sicurezza a tutti nota, con il comandante del posto di polizia e il capo-quartiere si cerca di snidare tutto ciò che potrebbe mettere in pericolo la stabilità dell’area. Evidentemente un triplice stupro di bambine minorenni attuato sotto la minaccia di un’arma non è un fatto valutato rilevante per la sicurezza nazionale, soprattutto in questa fase storica. Tutti tacciono. Il capo-quartiere conosce la persona, ma tace. Il comandante della polizia dice di ricordare vagamente qualcosa, come se si parlasse di un ladro di polli. Ma non è forse lui che segue le inchieste e le invia alla Procura della Repubblica? C’è omertà conoscendo le vendette trasversali molto frequenti in Burundi.

Usciamo dall’ufficio del capo-quartiere. Ci ha detto di dargli una settimana di tempo. Quanta rabbia abbiamo addosso. A qualcuno di noi tremano le mani. Già, per tornare al discorso di prima, quanto conta una bambina che viene dai poveri villaggi delle colline, con un vecchio vestito addosso e una strada già decisa da altri davanti?"

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