Il professor Vaggi sui flussi migratori: "Noi vediamo solo una parte, mi preoccupa l'incapacità dell'Europa"

21 febbraio 2019 - Riportiamo un estratto dell’intervista che Gianni Vaggi, membro del comitato esecutivo del VIS e direttore del Master in Cooperazione e sviluppo all’Università di Pavia, ha rilasciato a Il Fatto Quotidiano in relazione alla situazione economica dei Paesi dell'Africa toccando alcuni argomenti caldi dell'attualità politica in vista delle elezioni europee di maggio.

 

Professor Vaggi nelle ultime settimane si è parlato molto di Franco coloniale, la moneta di 14 Paesi dell'Africa occidentale e centrale, stampata in Francia e con il tasso di cambio bloccato con l'euro. È davvero un freno alle economie africane? Viviamo davvero una fase di neo-colonialismo?

La moneta è un simbolo del colonialismo, ma non ha effetti dirompenti sul piano economico. Il tema del Franco Cfa è collegato al quadro economico africano, ma in modo molto marginale. Il problema delle economie africane è che producono materie prime: petrolio, arachidi, cacao. Non producono automobili o beni industriali. Non sono economie diversificate. Anche se avessero una moneta che si può svalutare, non ne avrebbero grandi vantaggi. In più sarebbe difficile in ogni caso per un’industria africana competere con quelle asiatiche emergenti.

 

Professore, risolvendo a favore dell’Africa la questione economica del Franco Cfa ed eliminando l’atteggiamento neo-coloniale si avrebbe un mutamento a proposito dei flussi migratori?

In realtà no, ricordiamo che le categorie di migranti in Africa sono tre: i poveri che si spostano dalla campagna alla città, quelli che stanno un po’ meglio e si spostano in altri Paesi del continente e quelli che possono pagare i trafficanti circa 4mila dollari per mandare i propri figli in Europa. Noi vediamo solo l’ultima parte. Per avere una discontinuità in relazione ai flussi migratori bisognerebbe togliere i migranti dalle mani dei trafficanti.

 

A Pavia lei dirige all'Università il Master in cooperazione e sviluppo, qual è secondo lei la soluzione su cui dovrebbero impegnarsi l'Italia e l'Europa nei confronti dei Paesi africani affinché si possano realizzare per l'appunto cooperazione e sviluppo nel continente nero?

Il 23 Giugno 2000 a Cotonou, capitale del Benin, l'Europa sottoscrisse un trattato per regolare le relazioni con i Paesi africani o meglio con i Paesi ACP Africa, Caraibi, Pacifico. L’accordo scade nel febbraio 2020 e il problema è come procedere. Parte dell’accordo erano gli Accordi di Partenariato Economico (Economic Partnership Agreements) EPAs. Le negoziazioni dovevano concludersi in pochi anni ma sono durate molto di più, sia perché i Paesi europei non trovavano intese tra loro sia perchè ogni paese voleva tutelare le proprie relazioni speciali con alcuni Paesi africani. Quindi, quello che mi preoccupa è l'incapacità dell’Europa di parlare con una voce e di avere una strategia comune forte nel favorire lo sviluppo di questi Paesi. Però non sono pessimista, è possibile cercare di avere una interlocuzione difficile ma seria e importante con l’Unione Africana. Senza una maggiore concertazione tra i Paesi l’Unione Europea conterà sempre meno in Africa, vista anche la concorrenza di Cina, Giappone e Corea del Sud.

 

Qui puoi leggere l’intervista completa.