Festa del papà - lettera di papà Stefano a Filippo: figlio mio, come te, ho unito i puntini

19 marzo 2017 - Papà Stefano è sull’aereo che lo riporta a casa dalla sua famiglia dopo settimane di missione in altri Paesi. Una breve pausa, per poi ripartire nuovamente alla volta di Mali, Guinea e Nigeria. Rassicura così il suo piccolo Filippo: “Tra tre ore, se tutto va bene, sono a casa”.Condividiamo con voi la splendida lettera che ha scritto, in cui racconta a cuore aperto ciò che ha visto, spiegandolo al suo piccolo con parole semplici e tanta emozione. Nel suo viaggio ha incontrato tanti altri padri come lui che lottano per riuscire a dare un futuro alla propria famiglia o si disperano per non riuscire a mettere in tavola un pasto caldo. Ha incontrato tanti giovanissimi, bambini e bambine proprio come suo figlio. Alcuni di loro sognano, ridono. Altri, purtroppo, hanno smesso di farlo.

Ed è proprio questi giovani vulnerabili che VIS, anche attraverso la campagna Stop Tratta, accoglie e supporta con programmi di educazione, formazione e sviluppo.

 

Ciao Filippo,

Papà finalmente è sull’aereo che lo porterà a casa, a Dakar. Sono stati dieci giorni difficili, è sempre più difficile andare via in missione adesso che ci sei tu, in questi ultimi 21 mesi. Ti spiegavo, prima di partire, che sarei andato in due paesi, la Sierra Leone e la Liberia, con tanto verde, alberi e foreste e che avrei visitato le cinque opere dei Salesiani per capire in che cosa il VIS può essere d’aiuto nei prossimi anni.

Non sapevo che vi avrei trovato molto di più: domande e risposte. Sì, Fili, anche papà si fa tante domande, proprio come te; come te, anche io voglio capire e provare ad imparare.

Il viaggio è cominciato a Lungi: i Salesiani, come hai imparato ad Antananarivo, stanno spesso vicino all’aeroporto ed anche in Sierra Leone non ci si smentisce. All’aeroporto c’era Padre Larry a prendermi, un “profeta”, un simpaticissimo e barbutissimo missionario. Abbiamo parlato con lui e con i Salesiani (ce ne sono proprio due della Sierra Leone) e, con il mio amico Benson (del PDO del Ghana), ci siamo anche fermati al campo dell’oratorio a fare due tiri a canestro con i ragazzi della città. Papà ne ha anche messa qualcuna, non troppe…la mano ancora non si è completamente arrugginita.

E poi ci siamo fermati a chiacchierare con i ragazzi: non c’è lavoro, tanti partono per andare in Europa, qualcuno non ci è arrivato perché non ha passato il fiume. Meno male che c’era Benson, sennò non avrei mai capito che “il fiume” era il Mar Mediterraneo…a volte la traduzione dei concetti è difficile, mica come te che al nido ormai capisci tutto quello che le tue maestre ti dicono in francese!

Poi siamo andati nella capitale, abbiamo preso la barca…ti sarebbe piaciuta tantissimo. Piena di gente, di colori, di odori di cibo strampalato! I Salesiani a Freetown si occupano dei bambini e ragazzi che vivono in strada e siamo andati a trovarli, di notte. Ecowas Street, Waterloo (alla stazione ed al mercato), Tombo, le tre tappe del nostro viaggio.

Ecowas è in città, i ragazzi sono discoli che bighellano intorno alle bancarelle che di giorno vendono un po’ di tutto, un paio si sono avvicinati a papà e l’hanno abbracciato come fai tu!

Waterloo invece è in periferia ed al mercato abbiamo incontrato “Five thousands”: un ragazzetto di dieci/dodici anni (lui non sapeva dircelo quanti anni aveva) che ha deciso di entrare nel Centro dei Salesiani di Don Bosco a partire da oggi, speriamo che sia veramente arrivato. Lo chiamano in quel modo strano, 5.000, perché gli piacciono i soldi… ed ora con i Salesiani imparerà molto altro, lo rimetteranno in pista per aiutarlo a ritrovare e a riunificarsi con la sua famiglia.

Tombo invece è un villaggio di pescatori, là molti ragazzini vanno a cercare un po’ di fortuna e di lavoro: si pesca di notte, sai, quindi loro stanno là con il buio e poi dormono in giro di giorno, godendosi quegli spiccioli che hanno guadagnato. Papà si è emozionato, perché il Vangelo della domenica prima parlava dei pescatori che Gesù aveva chiamato quando ha iniziato a predicare: lì Padre Jorge e gli assistenti sociali erano veramente “pescatori di uomini” come dice il Vangelo. Bellissimo! Sono tornato a casa, dopo quattro/cinque ore per strada con loro, con tante domande e poche risposte; sia sui ragazzi e su quello che li porta a lasciare la loro famiglia, sia su di me e sulla nostra di famiglia.

Dopo qualche giorno a Bo, una missione che si sta sviluppando piano piano, siamo andati in Liberia. Che paese strano! Papà conosce un pochino l’Africa, ma lì è tutto americano, anche l’inglese smangiucchiato che parlano…e lo sai che papà fa sempre fatica a capire, sono sordo e poi parlo sempre!!! Sono arrivato qui proprio durante la celebrazione di Don Bosco ed ho partecipato a tre feste che lo hanno ricordato, una diversa dall’altra: la prima nella parrocchia di St. Joseph a Monrovia, una chiesa bellissima che i Salesiani hanno appena rifatto con i contributi di tanti parrocchiani (sono in una zona super-centrale!) e caratterizzata da un mosaico enorme. Ci sono diversi indiani e quindi mi hanno fatto festeggiare con il pollo tandoori, uno dei piatti preferiti della mamma e del papà (ci ricorda il nostro viaggio in India e le cene etniche con gli amici a Milano), che gioia. La terza l’abbiamo fatta a Matadi, la seconda opera dei Salesiani a Monrovia, un centro con una scuola ed un oratorio in una zona povera e periferica, con una bella festa rumorosa di quelle in cui ti saresti messo anche tu a ballare e a fare disastri insieme agli altri bimbi.

No, non mi sono dimenticato la seconda. Te la racconto per ultima perché è stata la più forte. Abbiamo festeggiato Don Bosco come avrebbe fatto Don Bosco: in prigione. Da qualche mese un Salesiano, Lothar, un tedesco austero e preparato, sta cercando di capire (con un’intelligenza ed una sensibilità veramente fuori dal comune) la situazione dei vari gruppi di bambini e giovani più disastrati di Monrovia. Credo che il passaggio che ha fatto in prigione lo abbia colpito e avresti dovuto vederlo come era contento di fare il direttore del coro per una cinquantina di ragazzi con cui abbiamo fatto la messa. Ormai sono diverse settimane che va in prigione, prega con i ragazzi, ne aiuta persino diversi ad uscire (a volte, basta solo che la famiglia intervenga, dato che è spesso all’oscuro della situazione dei suoi figli). Due momenti ti voglio raccontare: il primo è l’omelia, fatta da Padre Mark Anthony (ma sì che lo conosci, giocavi con lui nel refettorio a Tanà… infatti abbiamo parlato spesso di te durante il viaggio, così mi sentivo meno solo e potevo pensare a te senza essere triste); ha parlato della felicità. L’ha fatto a dei ragazzi che felici di certo non sono, eppure tutti hanno capito! Le sue parole raccontavano di un mondo interiore: la felicità è una scelta, decidiamo ogni giorno di essere felici, anche in prigione, anche in un posto dove la felicità è uno scandalo. Il secondo è la preghiera che un ragazzo ha scritto ed ha letto davanti a tutti, diceva così:

per quelli che creano ansia e paura, per i deboli che sono abusati dai forti; per quelli che disperatamente ambiscono ad essere accettati; per quelli che, non amati e non voluti, non ricevono né una lettera né una visita.

Papà si è fermato ed ha capito che quella lì non era una preghiera, era una risposta. Ho passato tutto il resto della Messa a chiedermi quale fosse la domanda, poi, come nei giochi che facciamo insieme, “ho unito i puntini”. E penso che la domanda sia: a chi vuoi dedicare tutte le tue forze, ogni giorno, al fine di essere tu felice e di renderlo felice?

Ti mando un abbraccio forte e ti do un bacio ed una benedizione.

Papà